I colossi del Web paghino le tasse nei Paesi in cui fanno affari: è la richiesta che arriva da quattro grandi Paesi europei – Germania, Francia, Spagna e Italia – tramite una dichiarazione congiunta sottoscritta dai rispettivi ministri dell’economia (il francese Bruno Le Maire, il tedesco Wolfgang Schaeuble, lo spagnolo Luis de Guindos e l’italiano Pier Carlo Padoan) e inviata a Toomas Toniste, presidente di turno dell’ Ecofin , la riunione informale del Consiglio dei ministri delle Finanze che si terrà il 15 e 16 settembre prossimi a Tallinn, in Estonia.
Nel documento i firmatari scrivono: “non dobbiamo più permettere che queste imprese facciano affari in Europa pagando il minimo di tasse. È in gioco l’efficienza economica, l’equità fiscale e la sovranità”. Alla Commissione UE chiedono di elaborare una proposta per risolvere il problema del cosiddetto “fatturato virtuale” . Aziende come Facebook, Google, Airbnb devono essere tassate nei Paesi dove generano reddito, non solo in quello in cui hanno il domicilio fiscale. Il ministro dell’Economia Padoan ha sottolineato l’importanza di “avanzare iniziative condivise nella UE” sulla Web Tax .
Anche la presidenza estone presenterà all’Ecofin un proprio contributo , sulla base del presupposto che “le regole fiscali internazionali sono datate e non possono affrontare le sfide della digitalizzazione dell’economia”. L’elusione messa in atto dai giganti del Web costa agli Stati della UE ingenti perdite in termini di introiti fiscali. È necessario un nuovo approccio, quindi, che vada al di là della presenza fisica, bastando la “presenza digitale significativa” nei Paesi dove l’azienda opera per il requisito di “residenza virtuale” che la costringa a sottostare alla tassazione sulle imprese di quel Paese .
“Meglio tardi che mai”, ha commentato Francesco Boccia, presidente della Commissione bilancio e autore della Web Tax transitoria in vigore in Italia dal 2017. “Voglio vedere il documento dei ministri alla prova della Commissione europea – ha poi aggiunto -, che non ha mai avuto il coraggio di superare l’intollerabile libertà delle multinazionali di decidere dove risiedere fiscalmente”.
Oltre agli ostacoli posti dagli Stati membri della UE con regimi fiscali “paradisiaci” (Lussemburgo, Irlanda, Olanda, Cipro e Malta), un altro stop potrebbe arrivare dal presidente USA Donald Trump, impegnato a difendere le multinazionali statunitensi e la finanza di Wall Street e acceso promotore dei paradisi fiscali interni (come il Delaware) e di quelli dei Caraibi.
Pierluigi Sandonnini