Quando a fine ottobre è stata pubblicata la bozza della nuova legge di bilancio, l’intero settore digitale è insorto contro l’ipotesi di un allargamento della Web Tax a tutte le realtà dell’industria. Ne sarebbero colpite anche quelle più piccole e indipendentemente dagli utili generati. Una misura che, se approvata in via definitiva, rischierebbe di mettere in ginocchio uno tra gli ambiti più virtuosi (in termini economici) del paese. Il MEF ha ribadito la volontà di tirare dritto, lasciando inascoltato il coro di proteste. La valanga di emendamenti presentati, però, potrebbe costringere a un dietrofront almeno parziale. Vediamo con quali modalità.
Allargamento della Web Tax: le ipotesi
Alcune proposte di modifica sono state ritenute inammissibili, poiché non sussistono le coperture finanziarie necessarie a garantirne la sostenibilità per le casse pubbliche. Altri, invece, sono al vaglio del Parlamento.
Prendiamo spunto dall’analisi pubblicata da Informazione Fiscale, che invitiamo a leggere nella sua forma integrale, per un focus sui possibili sviluppi della vicenda. Come sarà la nuova Web Tax?
Il primo degli emendamenti in discussione prevede l’imposizione di un limite unico dei ricavi fissato a 40 milioni di euro. Va da sé che la maggior parte di PMI e startup, in caso di via libera, rimarrebbe esclusa dall’applicazione dell’imposta allargata.
Ancora, si valuta l’esenzione per le realtà dell’editoria, come scrive Affaritaliani. In questo modo, la Web Tax non interesserebbe testate giornalistiche ed emittenti radiofoniche, purché fornite di una registrazione presso il tribunale di competenza.
Tra gli emendamenti scartati, invece, c’è quello che puntava all’introduzione di un doppio limite di ricavi. Entrambi erano caratterizzati da soglie più basse, rispettivamente a 200 milioni di euro per i gruppi e a 2,5 milioni di euro per le singole aziende.
Ricordiamo che, a rendere ancor più paradossale la situazione, ci sono le presunte pressioni provenienti dagli Stati Uniti che chiederebbero all’Italia di eliminare la tassa oggi applicata ai colossi online d’oltreoceano. Eppure, la Web Tax è stata in origine concepita proprio per assicurare che realtà come Google e Meta potessero contribuire all’economia dei paesi in cui generano enormi profitti. In una sorta di ipotetico scenario che il settore digitale vuole scongiurare a tutti i costi, PMI e startup si troverebbero costrette a pagare, mentre le Big Tech a stelle e strisce finirebbero per esserne esenti.