La presenza (e la prematura partenza) del ministro dell’economia Giovanni Tria all’Ecofin è stata al centro delle attenzioni per la delicata posizione dell’Italia nei confronti dell’Europa in tema di bilancio. Tuttavia la posizione dell’Italia è stata chiara anche su un altro tema per il quale l’Ecofin era chiamato a deliberare, ossia la cosiddetta Web Tax.
La posizione dell’Italia è stata infatti ferma: occorre agire, occorre intervenire; e bisognerebbe farlo a livello europeo, ma se l’Europa non sblocca la situazione allora l’Italia procederà per conto proprio poiché non considera più tollerabile la posizione finanziaria dei big d’oltreoceano nei confronti della concorrenza europea. Su questo l’Italia è chiara da tempo, da ben prima del nuovo Governo gialloverde, ma è altresì chiaro a tutti come soltanto una presa di posizione a livello continentale possa sortire effettivi benefici. La decisione di Tria è dunque una prova di forza, un modo per far capire come su questo fronte l’Italia abbia una volta tanto assunto una presa di posizione più chiara, più netta e più rapida rispetto al resto dell’UE.
La Web Tax italiana era tutto fuorché perfetta, dunque corretta era stata la decisione dell’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi di sospenderne l’applicazione in attesa di una maggior chiarezza sul tema da parte dell’UE. Dall’Ecofin trapelano però nuovamente posizioni distanti da cui scaturisce una preoccupante fase di stallo. E una spaccatura, probabilmente dalle origini ben più profonde rispetto a quanto non trapeli nel circoscritto contesto della Web Tax.
Web Tax: la frattura europea
I problemi sono sorti non tanto sul “se”, ma sul “quando” e sul “come”. Da una parte c’è la Germania (capofila di un gruppo composto anche da paesi quali Svezia, Danimarca e Finlandia), che culla l’ambizione di un allineamento globale alla Web Tax che coinvolta tutti i paesi dell’OCSE: tale traguardo appare ad oggi complesso, insidioso e non certo immediato, ma con un orizzonte applicativo che partirebbe quantomeno dal 2020. Se non si raggiungesse un accordo globale, fanno sapere da Berlino, allora si potrà abbassare l’asticella e procedere con una Web Tax europea. L’approccio italiano, così come quello Francese (puntellato dalla pressione del commissario Moscovici, in questo caso del tutto allineato alla filosofia espressa dal nostro Governo), è invece ben più pragmatico: Web Tax europea subito, così da stabilire un modello che si possa in seguito estendere all’OCSE partendo da una posizione omogenea all’interno del vecchio continente.
I conti sono già stati fatti: considerando una digital tax pari al 3% sui profitti generati tramite business digitali, il gettito arriverebbe a circa 5 miliardi di euro all’anno. In ballo c’è molto più di questo, però: c’è un principio, anzitutto, ma ci sono anche gli equilibri geopolitici con una amministrazione Trump che non fa sconti in tema di dazi. Il braccio di ferro, che appare in gran parte interno al mercato UE, potrebbe dunque essere qualcosa di ben più ampio.
La frattura con la Germania rischia ora di allungare nuovamente i tempi, obiettivo del resto dichiarato da parte di quella fazione che non pone obiettivi prima del 2020. Di qui la decisione di Tria che, prima di lasciare prematuramente l’Ecofin per motivi legati alla Legge di Bilancio italiana, ha messo nero su bianco la posizione italiana: se l’UE vorrà alzare l’asticella con il rischio di non saltare mai, l’Italia è pronta a sganciarsi e ad approvare una propria Web Tax. Che per zoppa e parziale che sia, risulterebbe però un passo avanti rispetto al forzato immobilismo dell’UE.