Esiste una catena alimentare nei media audiovisivi, in cima alla quale c’è il cinema. Il motivo di questa supremazia sta nella capacità del cinema di mangiare le altre forme di produzione, nel senso di inglobarne le novità, le idee, la potenza e le soluzioni innovative. È questione di metodi, tempi e capacità produttive oltre che di personalità coinvolte. E ad oggi la Rete è una delle prede preferite.
L’ennesima dimostrazione viene dal festival di Toronto e parla molto bene della maniera nella quale il video prodotto per la Rete ha cominciato a cambiare tutto il resto del linguaggio audiovisivo.
Tempo fa avevamo raccontato di una delle trovate più originali e specifiche del video online, lo screencasting . Nato come strumento per i tutorial (un’altra invenzione tipica delle Rete, prelevata dai video didattici per diventare qualcosa di più), diventato poi un linguaggio narrativo a sé a partire da un videoclip musicale e da una famosissima webserie , lo screencasting è la tecnica narrativa fatta di voce narrante e immagini di uno schermo, in cui tutto deve passare per ciò che è rappresentato sullo schermo.
Al festival di Toronto di quest’anno è stato presentato Noah , un cortometraggio interamente realizzato in screencasting, ad opera di Walter Woodman e Patrick Cederberg.
La forza di Noah è proprio quella di essere film pur sfruttando un linguaggio nato online. È cinema e non un video qualsiasi per la Rete perché inietta nello screencasting una serie di elementi sia narrativi che di montaggio interno, inusuali per i video online.
Noah, a differenza di quanto facesse (per dire) YouSuckAtPhotoshop, sposta spesso il punto di vista, non inquadra sempre tutto lo schermo ma viaggia di angolo in angolo per inquadrare quel che interessa, usa la freccia per spostare gli oggetti sulla scrivania dando risalto a certe foto in certi momenti e via dicendo. Il montaggio interno insomma.
In più in un paio di momenti integra un po’ di recitazione reale usando l’espediente della videochiamata e di chatroulette.
Il passaggio da Internet a sala cinematografica quindi dimostra, come si diceva inizialmente, la dura legge della catena alimentare dei media audiovisivi, il fatto che inevitabilmente quelli più grossi, strutturati e dotati di un storia maggiore alle spalle posseggano una reattività maggiore, adattandosi sia ai tempi che alle novità di linguaggio. È il motivo per il quale, si creda o meno nella bontà delle webserie e nella loro fortuna, questo campo rimane il più vitale, interessante e importante del momento (partendo dal presupposto che quello televisivo, entrato anni fa nell’età dell’oro, ha esaurito la spinta propulsiva), perché essendo il luogo in cui più di tutti è possibile far emergere pensiero divergente, novità e materiale meno consueto, è anche la fonte alla quale le altre forme si abbeverano. Quello che decenni fa erano le avanguardie.
Il successo online di Noah (oltre un milione di visualizzazioni in circa 8 giorni, ma il video verrà rimosso dal canale YouTube del festival di Toronto il 19 settembre) è un altro dato che ratifica come il corto parli un linguaggio che si ambienta e trova fortuna in Rete.
Non è infatti solo lo screencasting ad essere stato prelevato da Internet, ma anche un certo modo di guardare i propri personaggi, certe storie da raccontare e una certa ottica. Una delle più importanti novità della narrativa online infatti è stata riportare in maniera drastica e violenta l’attenzione sulle storie piccolissime, personali e poco universali. Ciò che accade nel vicinato, nella mia casa o ancora di più nella mia stanza, oppure ciò che accade al pianeta ma sempre da un’ottica personalissima. Un obiettivo non macroscopico come quello del cinema (che anche se racconta di due amanti li trasforma nel simbolo di tutti gli amanti del mondo) ma microscopico.
NOAH
YOU SUCK AT PHOTOSHOP
AGAIN
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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