Da quando esiste il video la videomusica ha subito un lungo processo di ridefinizione (film musicale, diretta televisiva e infine videoclip) che negli anni ’90 e primi 2000, cioè nel periodo di massimo successo dei canali tematici musicali, ha toccato punte altissime di congiunzione tra esigenze di promozione commerciale e videoarte. Poi è arrivato YouTube e il videosharing, la nuova terra di conquista per tutte le forme di video brevi e promozionali (trailer, teaser e pubblicità ne sanno qualcosa), così anche la videomusica ha cominciato gradualmente a spostarsi dai canali musicali (ormai sostanzialmente “canali giovanili”) ai canali di YouTube, e l’ha fatto talmente bene che come è noto i videoclip o le performance live sono il contenuto più importante del grande aggregatore.
In questa rubrica spesso ci si è interrogati su quale senso potesse avere la videomusica nell’era di YouTube, cioè nel momento in cui scompaiono molti vincoli produttivi ma cambia la fruizione (non più continua e a tappeto secondo le logiche della rotation radiofonica, ma on demand ): la risposta non è mai stata semplice e in un certo senso a lungo inficiata dall’invasione di video ufficiali (ma soprattutto non ufficiali) user generated , in alcuni casi erano migliori dei video prodotti dagli artisti, ed esperimenti interessanti ma di poco seguito come 99 $ video .
Adesso progetti decisamente più audaci ed estremi, come quelli messi a segno nelle ultime settimane dagli Arcade Fire prima e dagli Weezer poi, sembrano preannunciare, con la loro esigenza di grandezza e la complessità della realizzazione, la fine di un certo modo di intendere la videomusica.
Per almeno 25 anni i videoclip sono stati un modo per le band o per i cantanti di mostrarsi e attraverso i codici del linguaggio audiovisuale presentare la propria identità al pubblico. Chi era più banale, chi lo era meno, chi puntava su elementi di sicuro successo, chi tentava opere intellettuali, chi rappresentava se stesso come parte del proprio uditorio, chi come migliore del proprio uditorio e chi centrava il giusto mix tra racconto e musica. Però in un momento in cui la rete stessa e i suoi mille mezzi d’espressione (i siti e blog più o meno personali, le pagine Facebook, gli account Twitter…) costituiscono una macchina decisamente più efficace nel definire l’identità dell’artista o del gruppo, il videoclip viene a perdere la sua funzione primaria e rimane oggetto promozionale, quindi non interessante se non “estremo”. Tanto che alle volte i videoclip generati dagli utenti centrano il mood di una canzone o di un’artista anche meglio di quelli ufficiali.
Gli Weezer, che già avevano giocato e fatto incursioni nel mondo dei video per la rete con il video (tradizionale) di Pork And Beans (che ammassava in un divertissement citazionista alcune tra le grandi YouTube star della breve storia del video virale), per il lancio del nuovo album intitolato Hurley (e la copertina dice tutto ) hanno fatto un nuovo video a tema YouTube-star questa volta con una procedura inversa. Invece che mettere le vlogstar nella loro produzione, la band ha fatto una comparsata in tutte le produzioni delle star, almeno 15 video di 15 grossi nomi di YouTube hanno visto gli Weezer come “featured stars”, in un’invasione mediatica internettara che ha più il sapore della marchetta che della videoarte.
Questa idea, questo modo di cercare di contaminare i linguaggi e cambiare nuovamente la forma che ha la videomusica, sembra tuttavia, nella furia con cui cavalca il successo altrui, irreplicabile e quindi di fatto un canto del cigno del video come strumento comunicativo che lo lascia oggetto di marketing.
Di contro gli Arcade Fire, che come si era già sottolineato la settimana scorsa stanno esplorando quanto più possibile le potenzialità video della rete per la loro musica (loro che proprio dalla rete vengono), hanno lanciato alla fine di agosto il nuovo videoclip di We Used To Wait in un progetto di Chris Milk chiamato The Wilderness Downtown . Chris Milk è regista prima di pubblicità e poi di videoclip (il percorso tipico degli anni ’90) ed è stato uno degli ultimi interpreti dell’idea veramente alta e creativa del fare videoclip musicali e in generale una produzione corta (come ha dimostrato con il suo segmento di OneDreamRush ). Interessante quindi che proprio una persona proveniente dai grandi videoclip televisivi abbia concepito uno dei più estremi esperimenti per la rete.
In collaborazione con Google e il suo Chrome Experiments il regista ha realizzato un pasticcio in HTML5 di finestre popup, Google Mappe e video girato per l’occasione, che prende le mosse dalla canzone degli Arcade Fire e lentamente slitta semioticamente verso le immagini satellitari e lo Street View dell’indirizzo della strada dove si è cresciuti, fornito dall’utente prima di partire con la riproduzione del video. L’idea è quella di raccontare il passare del tempo a partire da immagini familiari all’utente, un tentativo non solo folle e ambizioso ma anche riuscitissimo, che ha senso proprio nella sua grandezza e nel suo titanismo. Proprio l’unione dell’ottimo risultato e, ancora una volta, della sua irreplicabilità, testimonia la fine del videoclip come “genere” o “formato” e il suo emergere, nel migliore dei casi, come “progetto comunicativo”.
ARCADE FIRE & CHRIS MILK – THE WILDERNESS DOWNTOWN
WEEZER – PORK & BEANS
WEEZER – YOUTUBE INVASION BEHIND THE SCENES
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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