È da grandi eventi, spesso tragici, che emergono con evidenza i cambiamenti nel modo in cui viviamo, percepiamo e ci facciamo un’idea intorno alle cose che accadono. È stato così, ancora una volta, per il terremoto in Abruzzo (come fu così per l’insediamento di Obama , anche se in quel caso l’evento era atteso e dunque mediaticamente pianificato). La quantità e la qualità della copertura e dello sciacallaggio da parte di media vecchi e nuovi ha scatenato reazioni, prese di posizione e una consapevolezza diversa da quanto potesse accadere in precedenza. Nel bene e nel male. Ma non solo. Il terremoto abruzzese è stata anche l’occasione per sperimentare nuovi formati e nuove idee, specialmente per Repubblica.it che ha pubblicato online dei video realizzati per l’occasione da importanti registi italiani secondo modalità straordinariamente appropriate a quello che si fa in rete anche nel resto del mondo.
Video in rete ma soprattutto social networking a fare da canale di diffusione. In precedenza le dichiarazioni fatte dal TG1 a proposito dei propri ascolti record nei giorni seguenti alla tragedia non avrebbero suscitato il clamore registrato di lì a poco in rete (e in effetti non è capitato solo due anni fa per un episodio quasi identico ), e lo stesso non sarebbe capitato per il servizio andato in onda durante Matrix incentrato su una giornalista che svegliava i terremotati rifugiati nelle proprie automobili per chiedere del loro stato.
Non lo avrebbero fatto perché in pochi avrebbero assistito ad entrambi i momenti televisivi e il fatto si sarebbe potuto diffondere al massimo tramite passaparola. In rete invece le clip inviate su YouTube, o in alcuni casi diffuse online anche dagli stessi siti delle emittenti, sono finite in pochissimo tempo sui principali social network e da lì sono clamorosamente tornate sui vecchi media (come le radio). Una delle dimensioni più vituperate del video in rete, cioè la sua funzione di ripetitore e moltiplicatore di messaggi e di brevi momenti televisivi, si è ancora un volta ritorta contro chi quei messaggi li ha messi in onda, probabilmente poco consapevole del fatto che oggi cose simili non possono accadere senza provocare danni d’immagine molto superiori ad un cattivo articolo su un quotidiano il giorno dopo.
Il video in rete infatti quando ripete messaggi televisivi li estrapola e li decontestualizza. In casi simili però la decontestualizzazione non è finalizzata a stravolgere il messaggio quanto ad intensificarlo, perché inserito non più nel flusso, ad esempio, di un’edizione del telegiornale, bensì in quello dei feed, dei tweet o delle notifiche di ogni singolo utente. Lì si trova accanto a commenti, altre forme d’indignazione o di partecipazione attiva alla questione, all’interno cioè in un flusso di notizie a lui affini ma dal tono imprevedibile a monte.
Di taglio e di valenza completamente diversa invece è stato l’uso fatto da Repubblica delle potenzialità video. Oltre alla solita copertura della propria sezione Repubblica TV, questa volta la testata ha avuto la possibilità di utilizzare il flusso di immagini cui siamo stati abituati anche dalle altre emittenti per una rielaborazione “autoriale” e in questo senso capace di comunicare qualcosa di diverso ma ugualmente importante rispetto ad un articolo. Un video breve, di 5 o 6 minuti, non necessariamente narrativo (come quello di Paolo Sorrentino) e non necessariamente improntato al racconto degli eventi (come quello di Ferzan Ozpetek), che adotti uno stile innanzitutto visivo e mutuato dal cinema, sarebbe impossibile da immaginare al di fuori di Internet e della sua continua decontestualizzazione.
Impossibile da mandare in un TG e forse adatto solo ad una trasmissione di approfondimento. Ma anche la più complessa e intelligente delle trasmissioni di approfondimento non potrebbe mandarne cinque di questi video. Repubblica.it invece in 5 giorni ha messo online 5 video di altrettanti prestigiosi nomi (oltre a Sorrentino e Ozpetek, ci sono stati anche quelli di Michele Placido , Mimmo Calopresti e Francesca Comencini ). Purtroppo i video in questione non possono essere embeddati ma qualcuno ha provveduto a metterne alcuni su YouTube. Non tutti sono ugualmente interessanti, ugualmente capaci di dire qualcosa di autonomo e soprattutto adatti ad Internet, ma alcuni sì.
Ad esempio, quello di Francesca Comencini o quello di Paolo Sorrentino raccontano le cose con un linguaggio che si adatta molto bene alla viralità e alla fruizione in rete. La prima perché affianca alle classiche (ma ben realizzate) interviste dei momenti “reali” di racconto, come l’arrivo di una lieve scossa di assestamento che tuttavia sconvolge una sopravvissuta, e il secondo perché lascia parlare immagini e suoni cercando l’ipnosi più che il lavoro di testa. In un certo senso inoltre anche Ozpetek, realizzando una sorta di videoclip sulla musica cantata da una ragazza deceduta nel disastro, mette in scena qualcosa cui il pubblico della rete è già avvezzo, intercettando la loro attenzione e catalizzandola dove interessa a lui.
Materiale decontestualizzato in sé che non teme il fatto di essere inserito in altri flussi di informazioni.
REPUBBLICA TV – LE DONNE DI S. GREGORIO di FRANCESCA COMENCINI
TG1 DEL 7 APRILE 2009
MATRIX
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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