Alla fine pare che la forma breve non sia più così importante. Delle molte applicazioni che qualche anno fa si distinsero puntando tutto sulla costrizione alla brevità sembra essere rimasta solo Twitter a reggere davvero, coerente con i propri principi. Di certo è ormai crollata Instagram che da quando è stata acquisita da Facebook ha perso gradualmente i diversi paletti che la caratterizzavano. Prima il formato quadrato (ora è possibile postare foto anche rettangolari) e adesso il video che, quando fu introdotto, limitava la durata a 10 secondi: gradualmente questo limite passerà a 60 secondi per sempre più utenti.
Sempre di limite si parla, certo, ma 1 minuto non è più una forma breve, non è più cioè quella gabbia stretta che costringe la creatività, è un abito molto più ampio nel quale muoversi e creare contenuti più tradizionali (per i canoni di internet almeno).
La veste particolare di Instagram aveva dato vita non solo ad applicazioni parallele, di terze parti, che potessero aiutare ad aggirare i limiti (ad esempio caricare video già girati e montati), ma soprattutto aveva dato vita ad alcuni interessanti esperimenti anche narrativi. Su Instagram si sono viste delle serie , dei racconti fatti 10 secondi alla volta, una addirittura proveniente da volti noti di Hollywood . Ora invece lo sforzo di Facebook di puntare con decisione sul video e andare all’inseguimento di YouTube coinvolge anche quest’azienda satellite.
Il motivo è che dal video promette di passare la pubblicità più onerosa. Abbiamo capito che l’advertising scritto non genera grandi profitti e non smuove grandi masse, gli investitori non credono nella sua efficacia, mentre quello video è figlio diretto delle pubblicità televisive e sembra far girare più denaro. Dunque, tutti puntano sul video, visto poi che il pubblico sembra gradire.
Anche grazie alla maniera in cui la piattaforma si è orientata negli ultimi mesi, l’interesse e il tempo speso dagli utenti Instagram a guardare video è aumentato del 40 per cento, non poco.
Altre applicazioni caratterizzate dalla brevità come Snapchat hanno ideato servizi come “stories” che, aggregando diversi video coerenti tra loro, riescono a fare un racconto più grande, di fatto aggirando la natura isolata dei video brevi e tenendo l’utente agganciato per più tempo senza contravvenire alle proprie regole. Non cambia molto però, l’idea è sempre quella: perché ci sia interesse ci deve essere narrazione e se la narrazione 10 secondi alla volta non funziona bene (per tutto tranne che per le gag, e lo sa bene Vine), allora forse di dieci secondi in dieci secondi si può creare un senso più grande di quello delle singole parti. Instagram percorre invece un’altra strada, più radicale.
Di certo quel che accade ora è che Instagram accede al salotto buono delle piattaforme, diventa un luogo non solo più per documentare la propria vita (com’è stato fino ad ora) ma anche uno per produrre. Non è difficile immaginare infatti cosa accadrà: lo stesso che è sempre accaduto. Ampliando le potenzialità, creando uno spazio creativo più ampio e comodo, qualcuno che in altri casi si sarebbe rivolto a YouTube o Facebook sceglierà di utilizzare invece quella piattaforma (che al momento ha un’utenza più ristretta ma anche più appetitosa per gli inserzionisti) per creare qualcosa. Uno show, un vlog (sarebbe perfetto), una webserie o magari qualcosa di nuovo, diverso ed inedito.
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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