Le produzioni per la rete intrattengono uno strano rapporto con i prodotti televisivi, l’abbiamo detto diverse volte. Ci sono casi in cui si rifanno a serie tv imitandone temi e messa in scena, ci sono casi in cui sostituiscono tipologie di prodotti per la tv che non ci sono più o non sono più come una volta, casi in cui le citano, casi in cui si appoggiano ad essi costituendone uno spinoff in rete e infine casi (i migliori) in cui utilizza tutto ciò a cui la tv ci ha abituato per fare dell’altro.
Il punto è che la serialità per decenni è stata un’esclusiva televisiva e ora che un altro mezzo si decide a farla propria non può che guardare al suo progenitore per prendere le mosse, ma il modo in cui si uccidono i propri genitori fa tutta la differenza.
Accade dunque che ci siano progetti come Live in 5 che esplicitamente si rifanno ai format comici televisivi portati in Italia da Camera Cafè, Buttafuori, Love Bugs e via dicendo. Ovvero quel modo di sceneggiare e raccontare una storia tenendo un’inquadratura fissa e lasciando che la storia gli si dipani davanti. L’idea, a grandi linee, è quella del buco della serratura o del video a circuito chiuso, cioè che esistano dei punti di osservazione della realtà privilegiati davanti ai quali le cose accadono senza che i protagonisti sappiano di essere guardati.
Quello che succede su internet però è lievemente diverso. Perché se le clip televisive di Camera Cafè funzionano bene, sono viste e vengono condivise, lo stesso non si può dire delle produzioni autonome che sfruttano quel tipo di dinamica.
L’idea alla base della serie di Ashley Hedrick e Aubrey Mozino ospitata da Koldcast.tv (che raramente sbaglia) sarebbe stata anche ottima per la tv. La videocamera questa volta è puntata sull’anticamera della sala di registrazione di un telegiornale nel quale diversi personaggi passano più o meno di fretta prima di entrare in diretta, costituendo di fatto il retroscena di una trasmissione televisiva live con tutti i problemi che comporta. Come sempre in questi format grande importanza ce l’ha il fuoriscena, cioè il fatto che essendo l’inquadratura sempre la stessa molte cose accadono al di fuori di essa e sono divertenti proprio perché immaginate e non mostrate.
Live in 5 però non convince, stanca e non appassiona, perché copia un modo di raccontare che non appartiene a questo mezzo di espressione, che il pubblico è abituato a fruire da altre parti e che è visto come un’ennesima riproposizione senza la giustificazione della ripetizione del divertimento che invece hanno le clip di programmi televisivi.
Tutt’altro discorso invece per Previously on Point Dume , una serie che sta per partire ma della quale c’è già il primo episodio online. La serie va in esclusiva su Funny Or Die (l’avventura online di Will Ferrell dagli ottimi risultati), ha come star Enver Gjokaj , volto televisivo visto in Dollhouse, e gira intorno ad una specie di soap opera da anni ’90 a metà tra Dinasty e Beautiful. L’idea però non è di replicare la struttura della soap per prenderle in giro quanto prendere uno degli elementi distintivi delle serie televisive ed usarlo per fare qualcosa di diverso.
Previously On Point Dume, come dice il titolo stesso, è un unico grande riassunto delle puntate precedenti come quelli che si vedono prima di ogni episodio dei serial americani, un modo di raccontare che non è estraneo al pubblico ma al tempo stesso è originale se diventa il cuore della narrazione, in più presta il fianco ad un’infinità di trovate comiche particolari giocate su come si riassuma una trama invece di raccontarla. Tutte le frasi, le inquadrature, le musiche e le espressioni tipiche di un “previously on…” vengono ricontestualizzati e privati del loro significato originale per assumerne uno nuovo.
La televisione è una madre che insegna che va ripudiata. Prendere i suoi insegnamenti, assimilarli e poi risputarli stravolti sembra uno dei modi più intelligenti.
LIVE IN 5 – EPISODIO 1
PREVIOUSLY ON POINT DUME
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
I precedenti scenari di G.N. sono disponibili a questo indirizzo