C’è una cosa fondamentale che differenzia televisione e video in rete. La tv, nel passaggio da analogico a digitale, cioè nel moltiplicarsi dei canali, ha sparpagliato il suo audience, di fatto tutti fanno meno ascolti perché gli spettatori non si concentrano. Il video in rete invece vive del movimento opposto, nonostante i video a disposizione siano un numero impressionante, più di qualsiasi iniezione di canali, lo stesso gli utenti guardano tutti gli stessi video.
In particolare YouTube, che è la piattaforma migliore per questo tipo di rilevazioni, fa il 95 per cento del traffico con il 5 per cento dei video. Una proporzione ancor più risicata della nota legge di Pareto per la quale il 20 per cento dei player gestisce l’80 per cento del mercato.
I dati vengono da Tubular Labs , società di rilevazione specializzata che ha analizzato i dati dei circa 1,1 miliardi di video ospitati dalla piattaforma e i loro 7,8 bilioni di visualizzazioni complessive. Eppure solo 58,6 milioni di video (ovvero il 5 per cento del totale) sono quelli che superano le 10.000 visualizzazioni, facendone in totale cioè 7,4 bilioni (il 95 per cento del totale).
In poche parole è questo ad oggi il problema principale della piattaforma, la sua scarsa profondità nonostante un’ampiezza impressionante, concetto che non stupisce chiunque abbia una minima conoscenza dei suoi video.
Il punto è che mantenere banda sufficiente per lo streaming di tutti questi video è un costo troppo ingente. Nonostante un guadagno di circa 4 miliardi di dollari l’anno (almeno è quanto hanno dichiarato nel 2014) la piattaforma è al limite della parità, costantemente a rischio di finire in perdita. Proprio per i costi eccessivamente elevati.
Per ovviare a tutto questo l’unica risposta di Google è cercare di migliorare la qualità media dei video, fare di ogni canale una sorgente per più visualizzazioni, visto che il guadagno è praticamente solo quello proveniente dalla pubblicità. Per questo abbiamo visto arrivare YouTube Red .
La versione a pagamento di YouTube (10 dollari al mese) fornisce una fonte di guadagno diversa e potenzialmente più redditizia, perché va da sé che in media un utente del Tubo non frutta 10 dollari al mese con la pubblicità. E se due anni fa il precedente tentativo di andare a pagamento era fallito, questa volta sembra che non si punti più su contenuti vecchio stampo (in precedenza l’offerta a fronte del pagamento era di film) ma sullo specifico della piattaforma, cioè per i 10 dollari è possibile vedere i medesimi video di sempre ma senza pubblicità. In buona sostanza a Google pensano che qualcuno prima o poi si stuferà degli spot e, come avviene per Spotify, vorrà avere la versione priva di pubblicità. Purtroppo l’impressione è che Spotify per far passare gli utenti dalla versione gratuita con interruzioni a quella gratuita senza offra di più, cioè anche la fruizione mobile.
Quel che rimane è l’affermazione di una sostanziale differenza tra televisione e rete nella maniera in cui il pubblico ne fruisce. Questo è in gran parte dovuto alla scarsa concorrenza che esiste in rete, pochi video molto professionali o molto virali, attraggono molto di più che molti video inguardabili e inutili. Lo stesso siamo di fronte ad un paradigma unico nel suo genere, un’oligarchia naturale, in gran parte musicale (gli 8 video che hanno superato il miliardo di visualizzazioni sono tutti video musicali), che tuttavia non conferisce quasi nessun potere di contrattazione a quella piccola percentuale da cui YouTube dipende visceralmente e senza la quale non avrebbe nemmeno quella rendita che gli consente di non essere in perdita.
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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