Per motivi che forse andrebbero indagati con maggiore profondità e spazio è Roma, ad oggi, la città delle webserie. Non solo è quella che ospita il maggior numero di produzioni di finzione di successo ma anche la più rappresentata, quella cioè il cui panorama (più che altro di periferia) fa maggiormente da scenario.
Nonostante la maggior parte delle webserie siano girate in interni, accade in alcuni significativi casi che le città entrino con violenza nella scena, con personalità e caratteristiche evidenti. Lo si capisce bene seguendo la produzione di TheJackaL che in più d’un caso mette in evidenza palazzi, vie, spiazzi e vicoli di Napoli (senza contare il progetto Napoli in 4K ).
Per questo motivo Milano Underground , la nuova webserie creata da Giovanni Esposito, ha un immediato elemento di fascino, quello della volontà, palese fin dal titolo, di rappresentare una città senza però mostrarla mai.
I diversi episodi di Milano Underground si svolgono in un’unica giornata ma hanno sempre protagonisti diversi, avventori della metropolitana le cui storie si incrociano senza mai toccarsi davvero. I personaggi di ogni puntata vivono la loro storia che si esaurisce alla fine della stessa, ma nel farlo incrociano brevemente i protagonisti delle altre, magari senza nemmeno notarli. In questa maniera si forma una coerenza temporale che è anche geografica: queste storie esistono tutte insieme, tutte in uno stesso luogo che aiutano a ridefinire. Il luogo in questione, ovviamente, è Milano ma, come già spiegato, non lo vediamo mai perché tutto si svolge sottoterra.
Al cinema, come in televisione, una città è il suo paesaggio e il più grande cantore delle metropoli, Woody Allen (citato nel primo episodio di Milano Underground), è diventato tale inquadrando prima Manhattan poi via via Parigi, Londra, Roma e Barcellona come sfondo delle sue storie in una mescolanza di luoghi noti e sconosciuti, luci tipiche e stili architettonici.
Milano Underground invece scambia il paesaggio urbano con quello umano, tenta l’impresa di raccontare una città non per quello che è, cioè per come la possiamo vedere, ma per come il suo spirito si rispecchia nelle persone che la abitano. In altre parole è come se rispondesse alla domanda: “Se ad una città leviamo la sua apparenza e i suoi luoghi, cosa rimane?”.
Non a caso già nel primo episodio troviamo un montaggio di etnie e personalità che sembra ricordare quelli di La 25esima ora o Fa ‘ la cosa giusta con cui Spike Lee raccontava New York in decadi diverse. Attraverso le persone e i loro rapporti e non attraverso i luoghi.
Se l’idea è fenomenale, purtroppo, almeno per le prime due puntate, le storie sembrano non essere sempre all’altezza delle aspettative.
La scelta ricade sul raccontare di sentimenti in divenire, come nei film di Wong Kar Wai. Storie d’amore appena finite o che stanno per iniziare, rapporti ad un bivio e piccoli momenti di confronto a lungo attesi. L’idea di fondo di Milano Underground è dunque qualcosa che fino ad ora né cinema né televisione hanno tentato (o potuto) fare ma le singole storie invece si appoggiano proprio quanto visto al cinema. Forse anche per la natura stessa della produzione.
Milano Underground infatti è un prodotto ibrido, parte crowdsourcing, parte documentaristico e parte finzionale, tutto fuso in un set di puntate nelle quali si trovano guest star interne alla rete come Daniele Doesn’t Matter (nel secondo episodio ) o esterne come Marco Chiarini e Cosimo Alemà, registi del cinema.
Di certo è qualcosa di originale che esiste ora in rete e non esisteva prima fuori da essa.
MILANO UNDERGROUND – EP. 1 – Mind the gap
MILANO UNDERGROUND – EP. 2 – Come te
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
I precedenti scenari di G.N. sono disponibili a questo indirizzo