Quello che sembra di capire da questi primi mesi in cui fioriscono produzioni per la rete italiane è che per il momento da noi le webserie le fanno in linea di massima i professionisti della televisione . Professionisti magari giovani e disposti a sperimentare (senza la sicurezza di un ritorno economico) nuove possibilità e nuovi formati in rete. Tuttavia pur sempre professionisti, cioè sguardi formati dal lavoro nei sistemi produttivi dei vecchi media e quindi meno inclini a realizzare prodotti fuori dai canoni.
Succede così anche in Pong , la serie ideata e scritta da Pier Mauro Tamburini e Simone Laudiero (già autori di programmi come Camera Cafè o Piloti) che, sebbene realizzata tenendo (finalmente!) conto di quale sarà il suo pubblico potenziale e guardandolo dritto in faccia invece che dall’alto in basso, è in tutto e per tutto simile nella scrittura e nella messa in scena ai più nuovi prodotti per la televisione cui i due hanno lavorato.
Videocamera fissa ad inquadrare una scena sempre uguale a se stessa all’interno della quale accade tutto e sceneggiatura incentrata sul reiterarsi dei contrasti tra una personalità più rigida e una più caotica accomunate di volta in volta da un medesimo interesse o obiettivo. Tutte dinamiche che possono rivelarsi ottime in televisione ma che non si adattano con il medesimo successo alla rete.
Gli episodi di Pong (che recano il marchio Bonsai TV e sono pubblicati in linea di massima su YALP) paiono eccessivamente lunghi (quasi 8 minuti l’uno) e non sempre in grado di tenere desta l’attenzione nonostante le molte trovate anche interessanti. Spesso infatti Pong azzecca il colpo, trova momenti comici di nicchia ma riusciti . Con aria geek cita di continuo ma senza pesantezza attingendo dal mondo dei videogiochi, dai Simpson, dai film e dalla letteratura fantasy e di fantascienza senza spiegare, senza illustrare, senza giudicare ma con il medesimo piglio divertito con cui si fanno certe battute tra amici.
Affrontando alcuni luoghi comuni del mondo dei videogiochi (il rapporto con le ragazze, l’uso o il non uso di soluzioni, le ritualità, l’affrontare i first person shooter in modalità giocatore singolo ma in due, il pensare tutto il giorno ad un punto in cui si è rimasti bloccati e via dicendo) Pong riesce in certi momenti davvero a parlare e intrattenere il suo pubblico
risultando, come nelle intenzioni degli autori, il primo prodotto per un pubblico geek moderno.
Come accade anche in The Guild (che per il momento sembra essere l’unico riferimento delle serie per la rete italiane) il tema non sono i videogiochi ma coloro che ci giocano e infatti i monitor osservati dai protagonisti non sono mai inquadrati. Ma mentre The Guild oltre al racconto di una storia e di un intreccio sapeva trovare anche dei momenti puramente internettiani (dei punti di vista sulle cose che vengono raccontate davvero inusuali che riprendono le abitudini visuali degli hard core surfer) le serie italiane non abbandonano un modo di raccontare puramente televisivo.
Per questo dispiace che poi il meccanismo seriale (privo di un filo conduttore) e tutte le idee che non hanno a che vedere con la sceneggiatura ma con il modo di mettere in immagini quelle parole non sappia essere altrettanto in linea con il mezzo scelto per la distribuzione. Pong sebbene scritto con un’accorta strategia usa la rete come fosse un canale televisivo molto tematico (e magari viene anche pensato per una seconda vita in quell’ambito) ma non è pensato per sfruttare i meccanismi della rete. Quel tipo di pensiero divergente che solitamente ci si attende da chi non ha esperienza professionale.
EPISODIO 2 – CALCIO FEMMINILE
EPISODIO 3 – ZOMBIE MUTANTI E PLAYSTATION
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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