Viene da Michele Anzaldi, parlamentare del Partito Democratico, una richiesta di spiegazioni e chiarimenti sullo stato dei contenuti video di proprietà della RAI. La rimozione da YouTube avvenuta un anno e mezzo fa ha portato un calo negli introiti e la richiesta è mirata a sapere se questo sia stato ad oggi tamponato o portato in pareggio dai vantaggi che avrebbe dovuto avere lo spostamento di tutto su Rai.tv . La richiesta, per quanto legittima, pare campata in aria a prescindere da quale sarà la risposta di RAI.
Un anno e mezzo fa, nel riportare la decisione della RAI di chiudere i propri canali su YouTube (all’epoca tra i più seguiti in assoluto) e, tramite la tecnologia Content ID offerta dal Tubo, impedire che qualsiasi video sottoposto al proprio copyright fosse presente su YouTube, commentavamo quanto la mossa non fosse peregrina, anzi. Sebbene avesse privato la rete di una risorsa fenomenale, cioè i video appartenenti a RAI che vengono caricati dagli utenti (una vera controstoria della tv italiana, libera e spesso sorprendente, molto più profonda e varia dell’offerta dello stesso servizio pubblico), la scelta appariva come la più sensata dal momento in cui RAI ha investito molto per un portale sorprendentemente ottimo e deve ottenere il massimo dallo sfruttamento dei propri contenuti online.
Quel che è accaduto, come prevedibile, è che improvvisamente una voce è scomparsa dagli introiti del servizio pubblico, quella derivante dalle inserzioni pubblicitarie su YouTube (val la pena ricordare che non si parla solo di quelle sui video del canale ufficiale ma quelle presenti in qualsiasi video di proprietà RAI su qualsiasi canale) ed è entrato un costo maggiore, cioè quello della banda, perché molto traffico si è riversato su Rai.tv.
Tuttavia la strada del controllo è l’unica possibile per uno sfruttamento vero e completo dei propri materiali. L’obiettivo di tutto è il controllo di cosa sia presente online e cosa no, e in che maniera, nonché la possibilità di poter gestire in prima persona le inserzioni pubblicitarie attraverso la propria concessionaria, così da poter vendere pacchetti appositi, magari comprendenti anche parte di esposizione in televisione e parte online.
Non va nemmeno dimenticato che non si muovono in maniera diversa altri operatori del servizio pubblico stranieri, e fa piacere vedere che nel frattempo RAI ha mantenuto una timida presenza su YouTube. La strada ibrida infatti, quella che prevede il grosso del materiale sul proprio sito e qualcosa dato in pasto al mare di YouTube, è di gran lunga la più conveniente in un ecosistema mediatico complesso.
Anzaldi si preoccupa anche di come RAI possa attirare i giovani se rinuncia a YouTube, ma non è questione. Il tentativo del servizio pubblico, da tempo, è di riconquistare il pubblico più giovane, ma per farlo vuole passare per la televisione (sulla quale fatica a conquistare gli under 25 ma non più di quel che si creda). Un’idea come quella di RAY che prende e allarga le fiction dal target più basso ampliandole online, sembra più in linea della proposizione del proprio archivio su YouTube, che fa il bene di chi la RAI non la guarda ma la ricorda.
La maniera in cui invece YouTube può essere sfruttato è semmai per fare da teaser, come luogo per promuovere la parte di sé più allettante per chi solitamente non guarda i canali RAI. Il Tubo può essere un ottimo ponte verso RAY o Rai.tv, dove già è possibile vedere le trasmissioni in diretta o le repliche del giorno prima o ancora molto di ciò che viene messo on demand.
Sembra insomma incredibile il pensiero che un gigante come RAI debba appoggiarsi in toto ad un player esterno, per non dire straniero, come YouTube, ma molto è più sensato che lo sfrutti nella maniera migliore per portare pubblico verso di sé, per fare promozione o teasing dei propri contenuti.
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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