Con una scala di priorità inedita, dopo aver preso le misure sul campo televisivo la Rai ha ora messo un piede più che ufficiale nel mondo delle produzioni per la rete con Ray . Cioè prima ha incorporato autori della rete nei suoi canali ortodossi, ovvero le tre reti generaliste, poi ha dato vita ad una piattaforma che ospiti sia quei prodotti già passati in tv, che nuovi acquisti che infine altre serie già edite ma comunque rimesse online su quel canale.
Comunque sia con Ray si apre un universo di nuove possibilità. La Rai è infatti il primo produttore e distributore per il cinema italiano e il primo produttore e distributore per la televisione: ora ha deciso di cominciare ad interessarsi della rete, cioè ha deciso che quel campo audiovisivo non va tralasciato, di fatto nobilitandolo (agli occhi di chi non lo ritiene nobile) e posizionandosi. Tutte le imprese simili tentate in Italia (da FlopTv in poi) potrebbero beneficiare dell’ondata di interesse che un investimento Rai comporta, dall’altra hanno l’obbligo di cominciare a fare sul serio per reggere la concorrenza. Ovviamente il servizio pubblico intende diventare il primo produttore e distributore anche in quel settore.
Alla sua partenza Ray propone Zio Gianni e Il candidato , le webserie che ha mandato direttamente in televisione, oltre al già edito spin-off di Una grande famiglia, e le webserie acquistate Under e Elba, di cui avevamo già parlato. In più ha il trailer di un paio di progetti che si vedranno tra poco, un concorso, un bando (con il premio Solinas per la sceneggiatura) e le repliche di Braccialetti rossi. Quest’ultimo, tra tutti, è l’unico prodotto che non ha nulla a che vedere con la rete ma che, è lecito supporlo, viene identificato in target e quindi inserito nell’offerta.
Di certo molto di tutto ciò è in realtà proiettato nel futuro, non è infatti difficile comprendere come al momento Ray sia in realtà solo un redesign che aggrega in maniera diversa (e sotto un altro sotto-brand) video che erano bene o male già disponibili sia sul sito Rai.tv che in giro per la rete, ad ora cioè non propone davvero niente di nuovo (infatti è in versione “beta”). Non solo, non si tratta nemmeno di un vero braccio dell’azienda, come lo sono RaiFiction o RaiCinema, è solo un marchio sotto il quale finiscono prodotti sponsorizzati, acquistati o realizzati in altri settori del servizio pubblico. Lo stesso lo sforzo di cominciare a dare un’identità autonoma a queste produzioni, posizionandole online e non facendole per forza rientrare in altre categorie è importante.
La Rai prima ha pensato che le webserie potessero essere dei prodotti televisivi di rapido consumo in rete (Ombrelloni), poi ha creduto potessero risolvere palinsesti (e in parte l’hanno fatto) e ora finalmente sembra convincersi che possano avere una loro dignità e non solo, che la rete sia un luogo in cui guardare qualcosa che è stato girato per essa da persone che la conoscono con in mente quella collocazione.
In buona sostanza la sola esistenza di Ray è l’ammissione che internet non è un luogo di transizione in cui si dà vita a materiale che poi finirà altrove o in cui finiscono produzioni pensate con la testa da tv, ma un settore a sé in cui i prodotti possono nascere e morire, vivere e guadagnare. Un pensiero non certo nuovo né innovativo ma che, se attribuito alla più grande industria culturale del nostro paese (un vero pachiderma), è una rivoluzione.
Gabriele Niola
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