Nonostante tutte le apparenze giochino contro di lei, è la Rai la realtà produttiva dei vecchi media più attiva nel campo dei nuovi. Almeno per quanto riguarda l’audiovisivo.
Con l’ottimo lavoro fatto su Rai.tv ma anche sul proprio canale YouTube, la televisione pubblica italiana ha dimostrato una prontezza di riflessi che non era per nulla scontata. Per questo era atteso con molto interesse l’annuncio di quelli che l’azienda ha deciso di chiamare “web movies”, cioè le prime produzioni per la rete targate Rai.
Il progetto, per come era stato raccontato nei mesi scorsi, consisteva nel prendere un manipolo di giovanissimi cineasti (anche provenienti da successi su YouTube) per realizzare produzioni destinate ad internet che avessero un flusso produttivo adatto al mezzo. Tradotto in lingua corrente vuol dire lasciarli girare a modo loro senza intromissioni, seguendo il modus operandi di chi non ha mai lavorato nella tv e conosce solo mezzi digitali, tempi di lavoro ristretti e nessun tipo di paraocchi dovuto alle esigenze di “sistema”. Non la Rai che obbliga dei ragazzi a fare le sue fiction ma è la Rai a finanziare i loro progetti.
La settimana scorsa è stato finalmente il momento dello svelamento di questi “web movies” e della proiezione delle prime immagini. Purtroppo, come già si poteva intuire dalla scelta del nome (web movie non significa niente, “film della rete” non ha senso, non esistono film per la rete, nessuno li ha fatti e nessuno li vede), non tutto era come si sperava.
I “web movies” sono 10 film, girati da ragazzi il più noto dei quali è Claudio Di Biagio (già autore di Freaks ), tutti incentrati sul “genere”, ovvero polizieschi, horror, fantascienza ecc. L’idea è quella di cavalcare il trend di riscoperta dei generi, puntando sull’appeal che in rete hanno trovato nuovi horror, nuovi fantastici o nuovi thriller con misteri. Una trovata commerciale per nulla disprezzabile, anzi, furba e conscia di cosa stia succedendo.
Cinque sono già pronti e altri cinque, in fase di lavorazione, arriveranno dopo un po’. La lista completa è: “Fairytale” di Ascanio Malgarini e Christian Bisceglia; “Andare via” di Claudio Di Biagio; “Aquadro” di Stefano Lodovichi; “Circuito chiuso” di Giorgio Amato; “La voce dei cani” di Mario Amura; “L’ultimo weekend” di Domenico Raimondi; “Neverlake” di Riccardo Paoletti; “The Happy Days Motel” di Francesca Staasch; “True Love” di Enrico Clerico Nasino; “The President’s Staff” di Massimo Morini.
“Ci siamo chiesti come rilanciare il cinema di genere. Ho incontrato molti giovani che mi hanno guardato come un dinosauro e ne sono felice. Molti di questi film sono in inglese e li vedremo doppiati, uno, Fairytale, è stato anche già venduto all’estero”: così Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema, ha introdotto lo showreel dei 10 film. E le immagini che si sono viste (pochi minuti a “web movie”) hanno sconfortato nella maggior parte dei casi e lasciato ben sperare nella minor parte. Lo stile visivo è quello noto (Canon 5D et similia), la recitazione non sempre migliore di quel che si vede in giro e, sebbene sia impossibile dare un parere su poche scene, solo in pochi casi è rimasta la curiosità di vedere il “web movie” intero.
Eppure la parte veramente deludente non è il risultato (che, va ripetuto, è impossibile da giudicare dopo aver visto solo qualche immagine) quanto l’idea distributiva.
I “web movie” della Rai dovevano essere prodotti per la rete (come dice anche l’assurdo nome), il punto della questione era tutto lì, invece, sempre stando all’introduzione e alla spiegazione di Paolo Del Brocco: “Saranno distribuiti in tanti modi diversi. In primis saranno free su Cubovision, dopo 15 giorni andranno su RaiCinema channel (canale che sta per debuttare, ndr) e su iTunes a pagamento, infine saranno distribuiti in un cofanetto speciale grazie alla 01 Distribution (il braccio distributivo della Rai, ndr) e su Rai Movie (canale free del digitale terrestre ndr)”.
In sostanza sono prodotti che la rete la vedranno con il binocolo, cioè la cosa più internettara sarà Cubovision e poi la vendita su iTunes (i cui esiti è difficile pensare possano essere di qualche interesse). La spiegazione è stata: “Vogliamo che siano visibili quanto più è possibile” ma la realtà è che sono film che verranno sfruttati principalmente sui canali televisivi Rai, girati con pochissimo budget (rispetto agli standard dell’azienda), con un livello qualitativo straordinario, se li si compara a quel che la Rai passa in materia di tv movie, probabilmente di un qualche appeal per un pubblico giovanile, che è quello che ai canali del servizio pubblico manca totalmente, ma di fatto non “web”. In nessuna maniera.
Produrre per la rete non vuol dire produrre per far vedere gratis, Dr. Horrible Sing-along blog lo dimostra , ma vuol dire realizzare un prodotto che scardini l’usuale giro distributivo, che arrivi direttamente a chi lo vuole vedere senza i soliti tempi d’attesa, senza inserirsi nella catena di “valorizzazione” che prevede diversi sfruttamenti economici su diversi media.
Un prodotto per la rete è per la rete, non per una sua porzione ristretta (Cubovision) e poi per i canali televisivi.
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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