Ogni webserie propriamente detta parla di internet, anche quando non sembra. Da giugno è partita Senza contratto , una webserie dalle uscite dilatate e dalla durata impegnativa (poco meno di 10 minuti ad episodio) che vuol fare commedia intorno agli argomenti e alle situazioni portate in trionfo (online) da The Pills quasi 6 mesi prima.
Convivenza, amicizia tra uomini, umorismo demenziale e un totale rifiuto di tutti quei valori che costituiscono “la regola”. È il ritorno di una forma di umorismo a lungo dimenticato e poco frequentato dalle produzioni italiane, quello caotico e anarcoide, che racconta e mette in scena il rovesciamento delle situazioni più normali, il politicamente scorretto e l’assurdo.
Il primo pregio di Senza contratto è il suo titolo, che ha poco se non nulla a che vedere con i racconti della serie, ma dà un tono e un mood ai singoli episodi che espandono e raccontano il bighellonare fuori dalle regole di personaggi che sembrano esterni a qualsiasi forma di civiltà.
Rispetto alle altre commedie, più strutturate e più “scritte”, format come quello di Senza contratto e The Pills riescono così a raccontare per assurdo la quotidianità, ma non nel senso di mettere in scena luoghi, persone e situazioni plausibili se non reali, quanto in quello di raccontare l’umanità che vive e agisce oggi.
Quindi non è tanto la situazione di tre ragazzi che vivono a Roma ma provengono da luoghi diversi d’Italia, quanto i mutamenti nella comunicazione verbale e umana portati da internet e in seconda battuta le possibilità che questo offre di evoluzione di un simile linguaggio.
L’audiovisivo è infatti solo l’ultimo ambito della rete ad espandere i confini dell’umorismo, rimodulandone le caratteristiche e portando ad un nuovo livello di racconto le conversazioni. I singoli spunti inseriti nel flusso dei meme entrano a far parte di un’insieme più grande e acquistano più senso. Prima erano solo battute che non potevano vivere da sole ora, aggregate, contribuiscono ad un grande racconto.
Senza contratto porta avanti ogni episodio su due binari, intrecciando due storie con il montaggio e facendole dialogare tra di loro per aumentare la forza delle gag. Eppure è più nelle conversazioni e nei dialoghi che la serie sembra funzionare, nelle piccole trovate e, per l’appunto, nelle singole battute che hanno il sapore della conversazione improvvisata, del cazzeggio tra conoscenti ma (aggregate e organizzate) diventano qualcosa di più.
La serie purtroppo non ha la forza di reggere i poco meno di 10 minuti di ogni episodio e pecca di incoscienza (o anche solo di ritmo) nella scelta di una durata simile per ogni puntata, ma nei suoi momenti migliori e nel concept che la regge dimostra più lungimiranza, intelligenza e acume di molte altre produzioni “canoniche”.
Se The Pills vive di una struttura audace, ancora più spezzettata ma dominata da una continuity particolare che incastra, sistema e organizza i personaggi, continuando a farli evolvere in un racconto invisibile che passa sottotraccia di sketch in sketch, Senza contratto, arrivato ad ora al terzo episodio , è invece più diretto e quindi classico per come porta avanti una storia linearmente in ogni episodio.
Senza contratto EP. 0 – La metafora del Gilet
Senza contratto EP. 1 – “Pulp Addiction”, Papà Castoro e la dipendenza da internet
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
I precedenti scenari di G.N. sono disponibili a questo indirizzo