Era questione di tempo prima che il racconto entrasse anche in Snapchat. Tuttavia, vista la peculiarità del mezzo, è decisamente interessante la maniera in cui è accaduto. L’esperimento si è chiamato Sickhouse ed essendo Snapchat un social network da 24 ore di durata ora la serie non si può più vedere. Come uno spettacolo dal vivo, Sickhouse è stata una rappresentazione per chi era lì connesso a quell’account nei 5 giorni in cui è accaduto; una pseudodiretta narrativa che ha richiesto non pochi accorgimenti rispetto al solito per essere portata a termine, e che ora i suoi creatori cercano di monetizzare a posteriori come possono.
I video su Snapchat possono durare massimo 10 secondi, ma le webserie con microepisodi non sono una novità. Già su Instagram c’erano stati esperimenti più o meno interessanti di micronarrazione, o per meglio dire narrazione sbriciolata . Oltre a questo, durando i video solo 24 ore (dopodiché non possono essere più visualizzati) la serie è praticamente andata in onda quasi dal vivo, cioè è stata registrata in tempo “semi-reale”. C’era comunque modo di sbagliare dei ciak e ripeterli, ma gli attori hanno dovuto necessariamente recitare nei 5 giorni in cui la storia si è svolta. Non meraviglia, dunque, che il genere scelto sia stato l’horror (poteva essere la commedia, ma nulla aggancia più della paura), né conoscendo Internet meraviglia che l’esperimento non sia stato annunciato come una webserie.
Com’è tipico della Rete, tutto è stato spacciato per reale, a partire dall’account usato, quello di Andrea Russett , youtuber dal seguito non indifferente. Non c’era infatti modo di creare un account Snapchat con un buon numero di follower prima di andare live: era allora indispensabile usarne uno che avesse già un discreto pubblico. Coinvolgere la youtuber è stato quindi cruciale. Senza dire niente, lei ha annunciato che avrebbe passato il suo account a un’amica in viaggio per il fine settimana, e questa è dunque partita con i suoi di amici per un weekend tra i monti, nella più classica tradizione dei teen horror.
Come in The Blair Witch Project (altro esperimento spacciato per vero) tutto è volutamente amatoriale e le parti dialogate si alternano con le fughe nella foresta. La paura viene da quel che non si vede ma si intuisce.
Budget praticamente inesistente. Le visualizzazioni sono state nell’ordine del centinaio di milioni (che non vuol dire 100 milioni di utenti ma 100 milioni di views) e adesso è il momento di farci dei soldi, perché ovviamente Snapchat non consente la monetizzazione. Sickhouse è dunque in vendita online a 5,99 dollari su Vimeo in una versione completa e tutta di fila (con qualche scena in più) in un “director’s cut” da 70 minuti.
Alla fine, quest’esperimento è un ibrido concettualmente fortissimo tra teatro e performance, tra cinema e live (la sua forza nella pratica, invece, dipende da quanto sono stati bravi a scriverlo e a recitarlo, nonché dai vostri gusti). È una storia montata, quindi che parla la lingua del cinema e delle serie tv, quella degli accostamenti e delle ellissi, ma è anche una storia eseguita sul momento con un margine ampio di improvvisazione e che vive di una forte componente di hic et nunc (chi guarda sa che sta avvenendo tutto mentre lo vede). È un racconto fatto attraverso lo stile dei social network nonché uno in cui gli utenti cominciano a collaborare, un po’ come era capitato a Martina Dego – L’altra , la webserie andata su Facebook nel periodo tra Natale e Capodanno del 2011; esperimento quasi irripetibile, anch’esso inizialmente spacciatosi per vero.
È allora questa tendenza a voler fingersi reali (almeno all’inizio) la cosa più curiosa. Come se Internet rifiutasse a priori ciò che è fasullo e si mostrasse interessato solo a ciò che è reale. Le webserie quando cambiano, innovano o semplicemente sbarcano su un mezzo diverso, sentono il dovere di presentarsi come vita vera. Come se nient’altro fosse accettabile.
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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