Che la lingua italiana sia un limite per un mezzo che di natura non ha confini nazionali ma parla strettamente inglese è fatto noto, che lo sia ancora di più per i prodotti audiovisivi è evidente a tutti. Molte aziende, società e prodotti culturali hanno provato a superare il confine rivolgendosi fin dall’inizio al mercato internazionale e mai considerando la lingua italiana come la primaria per la propria comunicazione. Nel mondo della serialità in rete un simile approccio non ha mai pagato, anche perché non è mai stato praticato da chi avesse anche un contenuto valevole. Fa ora eccezione Stuck – Chronicles of David Rea .
Già a partire dall’idea la serie ideata e diretta da Ivan Silvestrini dimostra di non considerarsi italiana. David Rea è uno psicologo dalla vita turbolenta e dal carattere duro e intrattabile, tuttavia la sua indubbia abilità e i suoi metodi poco convenzionali lo rendono ricercato. In ogni episodio (o almeno è così nei primi messi online) affronta e pare risolvere un caso di persone “bloccate” sentimentalmente, sessualmente o umanamente.
Se suona familiare è perchè l’archetipo dell’intrattabile genio, del fascinoso e scostante numero uno del suo settore è lo stesso che, partendo da Sherlock Holmes, ha dato il successo a Dr. House. A questo Silvestrini aggiunge anche un po’ di Californication, ovvero quel modo di guardare alle relazioni interpersonali attraverso la lente del sesso e dell’ironia su di esso.
Un occhio alla miglior televisione, dunque, e uno alle tecniche di racconto della rete (Stuck scorre molto bene), uno alla scrittura (di prim’ordine) e un altro agli interpreti, non scelti tra gli amici ma tra professionisti con esperienza. Il protagonista Riccardo Sardonè ha esperienza di fiction italiana e tra le attrici si nota subito Valentina Izumi, attrice nippoitaliana che al suo attivo vanta un lungometraggio al cinema da protagonista e diverse partecipazioni in altre produzioni.
Ancora di più, in Stuck c’è un senso della narrazione breve e un asciugamento delle componenti classiche audiovisive che gli consentono di superare anche la derivazione televisiva, riuscendo a trovare un equilibrio in cui la scrittura, che di gran lunga è la componente migliore della serie, emerge come sarebbe auspicabile.
Non va però dimenticato che anche casi di successo nostrani come Freaks hanno faticato a farsi strada in campo internazionale (il prodotto sottotitolato non è amato in Italia, ma nemmeno all’estero ne vanno matti) e, con atteggiamento opposto, ci sono soggetti che procedono verso la nazionalizzazione dei contenuti ( l’abbiamo raccontato la settimana scorsa). Stuck invece si professa apolide, dell’Italia sfrutta gli elementi più fascinosi (le location e l’appeal stereotipico) e cancella ogni possibile indizio di provenienza. Ivan Silvestrini esce in rete come se non avesse un’origine precisa, riconoscendo come modelli dei prodotti statunitensi conosciuti ed imitati ovunque nel mondo. Fino ad ora, cioè fino al terzo episodio, l’approccio sembra pagare: le puntate sono autoconclusive ma lasciano intravedere un filo conduttore più grande, la cadenza è molto dilatata ma l’attesa è riempita da diversi video “extra” che animano il canale e l’idea non è di quelle pronte a generare stanchezza.
A mancare, quindi, è solo l’affermazione presso il pubblico che le 30.000 visualizzazioni stentano a dargli.
STUCK EPISODIO 1 – THE OBSERVER EFFECT
STUCK EPISODIO 2 – SEX DOES NOT EXIST
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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