I grandi eventi mediatici funzionano da giganteschi test per gli strumenti di internet. Ogni grande evento dalla copertura totale e annunciata porta con sé delle novità nella maniera in cui lo fruiamo in rete. Nuove tecnologie, nuove immagini, nuove tempistiche e, cosa migliore, sistemi ibridi di comunicazione che da una parte spingono in avanti la frontiera dell’integrazione tra contenuti diversi (foto, audio, video, testo, social network, messaging ecc. ecc.) e dall’altra confermano come sempre di più siano i siti delle principali testate generaliste le emittenti della rete nonchè le vere frontiere. Almeno all’estero.
Da quando poi la banda larga consente la trasmissione in streaming, il video è diventato il contenuto attorno al quale far ruotare tutto, anche se non sempre a fare la differenza è il modo con cui vediamo le cose, specialmente in rete, dove il modo con cui interagiamo è sempre più importante.
Il giorno dell’insediamento di Obama è stata una cerimonia e non un evento giornalistico, non c’erano e non ci potevano essere vere notizie ma solo notazioni. Non essendoci una suspense da attesa di novità come è accaduto per la notte delle elezioni, è stata necessaria una copertura diversa, ancor meno dall’alto verso il basso poiché nulla di nuovo davvero poteva arrivare dall’alto. È stato il classico evento sociale: il momento in cui una grande fetta dell’utenza si concentra su un contenuto unico per vedere come si svolgerà e per prenderne virtualmente parte , un evento basato sul senso di partecipazione che quindi viene visto assieme ad altre persone altrimenti ha poca ragion d’essere. Ma data l’ora, l’unico luogo possibile d’aggregazione era la rete.
In pochi l’hanno capito davvero e così, mentre quasi ovunque era possibile vedere la diretta in streaming, solo la CNN e Current TV (tra i grossi player) in modi diversi hanno dato agli utenti la possibilità di condividere il momento attraverso un commento che non fosse confinato all’interno di rigidi schemi. Il canale di Al Gore sia in America che in Italia ha fatto una lunga diretta più o meno tradizionale condita, come già ha sperimentato in passato, dal continuo scorrere in sovrimpressione dei tweet degli utenti, esponendo i loro messaggi in un maniera decisamente più interattiva e aperta di come si possa fare con gli sms.
Mentre il canale allnews statunitense, come molti hanno notato alla fine della giornata, per la parte online della copertura ha deciso di offrire a tutti quello che molti utenti in passato già avevano fatto autonomamente, cioè dividere la schermata in due: da una parte il flusso video e dall’altra il flusso degli aggiornamenti di stato del proprio account Facebook.
Al di là della possibile riuscita o meno dell’esperimento è l’idea che l’informazione non sia valida senza la possibilità di metterla in discussione che fa la differenza . I feed di Facebook in questo caso svolgono la funzione dei commenti, solo in maniera più intima.
Ma se gli americani avevano esigenze diverse dato che l’evento li riguardava decisamente più da vicino, in Italia non solo non si è riusciti a fare altrettanto, non si è nemmeno intrapresa la direzione corretta.
Fatta eccezione per Current TV, che come detto ha mutuato il modello dalla mamma statunitense, e per le reti televisive generaliste che hanno un diverso pubblico e una diversa fruizione, le vere controparti digitali della televisione (ovvero corriere.it e repubblica.it) hanno messo in piedi un’idea di trasmissione in video via internet antiquatissima. La cosa non stupisce nemmeno troppo data la distanza che c’è, anche a livello di consumo, dal modello americano (in fondo anche gli altri paesi non anglofoni non sono così tanto migliori). Ciò che però è invece degno di nota è come non ci sia stata evoluzione nemmeno rispetto a se stessi, l’idea di copertura video in rete è la stessa da anni e già al suo esordio suonava vecchia .
Corriere.it si è appoggiato alla rete di Al Gore, in linea con la scelta fatta da tempo di appaltare esternamente ciò che riguarda internet, dando alla materia contemporaneamente più dignità (se ne occupa gente esperta) e più spazio, ma poi per la parte on demand ha offerto pochissimi contributi video e la solita galleria di foto. Sostanzialmente una non-copertura.
Repubblica.it invece ha fatto una diretta in studio come si trattasse di una televisione generalista (la motivazione ufficiale è sempre quella che vede quei contenuti rediretti su un canale del digitale terrestre), con quei tempi, quei contributi, quella grafica, quel tono formale e quello scopo, la stessa cosa che fa da tre anni a questa parte.
Per entrambi poi la parte on demand consiste in una versione spezzettata di ciò che è andato in onda. Senza possibile e reale interazione.
Si è trattato di un tipo offerta che ha replicato i media tradizionali senza evolversi in alcun modo. Un’offerta che non ha considerato le novità tecnologiche dell’anno passato e l’uso diverso che gli utenti fanno della rete oggi. È televisione analogica mandata in rete non solo per il modo in cui è fatta ma anche per il suo immobilismo.
Il video in rete non è televisione attraverso il computer ma interazione con contenuti video secondo le modalità di internet, modalità che oggi sono la socialità come la intendono i social network e domani sarà qualcos’altro. Dunque alla fine non è tanto importante capire quale sia l’ultima tendenza, in fondo è un processo in continua evoluzione, basta anche solamente non ripetersi e cercare di proporre un’alternativa vera e non solamente una versione online per chi non ha un televisore a portata di mano.
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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