Il gaming è stato per anni la promessa non mantenuta del video online. Le produzioni che ruotano intorno ai videogiochi o ai videogiocatori sono infatti sempre state poche e di non eccessivo successo (fatte salve le serie che toccano tangenzialmente l’argomento come The Guild o il semi-machinima Arby ‘n the Chief o proprio i Machinima in sé). Il risultato è che il potenziale di un tema vicino agli utenti più smaliziati della rete e che si fonda sul concetto stesso di storytelling è rimasto a lungo inespresso anche nel più evoluto mercato statunitense.
La motivazione di tutto questo era prima di tutto legale, ovvero legata al Digital Millenium Copyright Act. Fino a poco tempo fa infatti non era chiaro quanto l’utilizzo di immagini da videogiochi fosse concesso. La dimostrazione di ciò è che da quando è stata fatta luce sulla materia il settore è esploso. Tutto un mondo di video walkthrough, machinima, di partite mandate online come fossero eventi sportivi o videorecensioni di videogiochi, pur essendo sempre esistito, solo da poco è stato ufficializzato, cioè è stato riconosciuto da YouTube. Questo significa che i principali canali che se ne occupano hanno avuto accesso al Partner Program (il che significa soldi), cui prima non potevano avere diritto nemmeno in caso di grande successo, e che il grande aggregatore non fa più finta di non vederli ma anzi li favorisce là dove conviene a tutti.
Tutto questo per dire che paradossalmente quello che poteva essere un ritardo nel piccolo microcosmo produttivo italiano si è improvvisamente tramutato in un vantaggio. Se in qualsiasi settore della produzione video per la rete arranchiamo, in quello dei videogiochi siamo stati capaci di mettere a segno non una ma ben due webserie di fattura alta e con dei capitali alle spalle.
Della prima parlammo all’epoca della sua uscita, si chiamava Pong! e aveva un modo molto intelligente di utilizzare un format di stampo televisivo (videocamera fissa in un punto unico e tutto montaggio interno), della seconda parliamo ora che, dopo qualche settimana online, è arrivata al terzo episodio. Si tratta di Gamers ed oltre ad essere una serie sui videogiocatori è anche uno dei primi esperimenti italiani di serie per la rete sponsorizzata . Negli States questo modo di produrre è già consolidato da tempo: uno sponsor paga (e in un settore privo di investimenti come questo si tratta di una manna dal cielo) e la serie gli fornisce un posizionamento molto forte. Si va da casi in cui il committente non vuole risultare se non per il fatto che ospita gli episodi sul suo sito (Lexus con WebTherapy ) ad altri in cui ha scelto di girare la serie in un suo punto vendita (Ikea con Easy to assemble ). In entrambe le situazioni il prodotto fa un salto di qualità in termini di investimento, potendosi permettere autori o attori altrimenti impensabili.
Gamers fa esattamente questo. Ambienta tutto in un punto vendita della catena di negozi di videogiochi Gamespot, i protagonisti sono commessi e avventori, il tema sono i videogiochi .
A produrre esecutivamente il tutto è stata Light (società già dietro prodotti televisivi come la serie “Piloti” andata in onda su Rai2) la quale ha messo alla regia a Luca Maragno (direttore del sito di Best Movie e della testata videoludica, che viene ampiamente citata nell’episodio inizale, Game Informer) e alla scrittura due sceneggiatori che avevano già collaborato a Camera Cafè e Piloti (nonchè a Pong! in qualità di attori protagonisti). L’idea incrocia quella di Easy to assemble a quella di Kyle Piccolo: Comic Shop Therapist (webserie in cui tenutario di una fumetteria si confronta in ogni puntata con un cliente diverso) e la realizzazione non si distanzia dai prodotti televisivi contemporanei, anzi forse li ricalca pure troppo.
Infatti il motivo per il quale Gamers, arrivati al terzo episodio, stenta ad appassionare e convincere nonostante un’idea e una realizzazione interessanti è proprio il suo legame con una produzione di tipo televisivo. Già Pong! riprendeva un format tipico della tv ma, grazie ad una fattura un po’ più spartana (che giovava alla spontaneità) e ad una sceneggiatura molto vivace e centrata sui personaggi, trovava l’ottica giusta “da Internet”.
Gamers al contrario ha una messa in scena più professionale, il che non significa solo maggiore qualità (girare per la rete non vuol dire girare raffazzonato) quanto una maggiore aderenza a codici espressivi consolidati e una scrittura molto meno agile che ingessa il racconto. Il problema infatti sembra più che altro essere di scrittura: troppo orientata alla promozione, troppo preoccupata di nominare continuamente titoli di videogiochi per dimostrare la propria adesione a quel mondo e soprattutto troppo centrata sui videogiochi.
Potrà sembrare un’assurdità che una serie sui videogiocatori, girata in un negozio che vende videogiochi parli troppo di videogiochi, ma in realtà è così. Quello che accade è che nonostante i personaggi siano videogiocatori, il centro di tutto sono i giochi in sè, cioè i prodotti e non le persone che li giocano . L’idea vincente di Kyle Piccolo: Comic Shop Therapist era opposta, il cuore erano le persone e i loro problemi mentre i fumetti (cioè il prodotto) costituivano la forma utile a risolverli e l’espediente comico. In Gamers invece ogni interazione ruota intorno ad un gioco e poco se non per nulla intorno alle persone. Anche il dark dalla doppia personalità (forse il personaggio più riuscito tra i primi che si sono visti) è solo una serie di gag, di frasi sconnesse unite insieme per far ridere, non ha un perché né una forza demenziale anarchica tale da sfondare l’ordine costituito (che sarebbe anche troppo da pretendere!). Soprattutto l’impressione finale è che la serie sponsorizzata sia un veicolo di marketing dalla forma di prodotto per la rete e non viceversa come dovrebbe essere.
GAMERS – EPISODIO 1
GAMERS – EPISODIO 2
GAMERS – EPISODIO 3
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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