A testimonianza di quanto vecchi schemi e vecchie cornici interpretative reggano poco di fronte alle dinamiche dei video in rete, quello che sta accadendo ora in Italia mostra due mondi solitamente inconciliabili e autoescludenti che convivono e si contaminano.
Il primo è quello autarchico, selvaggio, personale e non strutturato delle mille idee, webserie o anche solo video realizzati da non professionisti (con risultati che oscillano tra il pregevole e il folgorante); il secondo è quello incasellato, ripetitivo e conciliato delle branded series , ovvero delle produzioni sponsorizzate da grandi marchi, fatte ad uso e consumo degli stessi brand e concepite all’interno di campagne marketing.
Il massimo del costruito accanto al massimo dello spontaneo.
Un esempio perfetto della maniera in cui l’industria stia cavalcando i canali di comunicazione del video in rete lo fornisce la sortita di Control (quelli dei preservativi) su YouTube. Attraverso il proprio canale ControlFeelMakeFeel la società ha creato diverse filiazioni audiovisive della campagna Stop Ego , tutte improntate a ricalcare modalità di esposizione di comprovato successo sul Tubo, senza però centrare mai i presupposti di spontaneità (reale o simulata che sia) che caratterizzano il mezzo.
Inizialmente il canale ha cominciato con il vlogging, mettendo una persona davanti ad una webcam in abiti e ambienti informali, a parlare di argomenti vagamente concernenti il sesso o comunque orientati al rapporto di coppia.
Il tono, il modo di rivolgersi direttamente ad un target preciso e non ad un pubblico indistinto (“Ciao amiche!”) e l’evidente poca spontaneità di quella che è recitazione ma dovrebbe essere improvvisazione, sbalzano subito i video dal vlogging alla promozione, aiutati non poco dai continui cartelli con il brand che compaiono ad intervalli regolari.
Si tratta di elementi che mettono in scena la natura del contenuto, ovvero il suo essere format e non vlog, cioè il suo avere una struttura, possibilmente degli autori e dei tempi fissati, con la finalità di imitare un modo di mettersi in scena che invece si nutre del contrario.
Dall’altra parte c’è l’altra serie di video ospitati dal canale, la webserie Egoisti anonimi, iniziata da poco (è alla seconda puntata) ma già evidentemente improntata ad una scrittura che non ha nulla a che vedere con la rete (o, meglio, con la sua parte più innovativa e interessante) e molto ripiegata su altre forme espressive.
Recitazione caricata, scrittura anonima, personaggi volutamente disegnati sulla sagoma di stereotipi, quindi incapaci di avere una voce personale, e una messa in scena che imita modelli televisivi (il solito, ubiquo, invadente e quasi virale modello-CameraCafè).
Quando si parla di portare online contenuti che abbiano il linguaggio audiovisivo e le caratteristiche proprie delle produzioni per la rete, e non di quelle nate e sviluppate su altri mezzi, bisognerebbe mostrare Egoisti anonimi, episodi di meno di 3 minuti che non hanno nulla a che fare con internet per tono, scelte produttive, sguardo sul proprio pubblico e finalità comunicative.
In meno di 5 anni di vita il modello della produzione per la rete, da che era nato come strumento di affermazione esterno alle logiche e alle retoriche industriali, è diventato territorio di esplorazione maldestra da parte di qualsiasi ufficio marketing. Anche se i risultati non sono sempre così disastrosi, ne abbiamo raccontati anche di clamorosamente interessanti, è indubbio che mai si era visto un mezzo espressivo passare in così poco tempo da una primigenia fase di espansione libera e indipendente, ad una seconda contaminata dal massimo della mentalità business.
PILLOLE DI DANIA #1
EGOISTI ANONIMI – EPISODIO 1 – TUTOR
EGOISTI ANONIMI – EPISODIO 2 – MARA
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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