In Italia stentano ad affermarsi o anche solo ad emergere, ma in un paese smaliziato e votato al business come gli Stati Uniti sono una realtà affermata e apprezzata. Si tratta delle “branded webseries”, serie per la rete interamente e pesantemente sponsorizzate da un brand e quindi realizzate con l’obiettivo di promuoverlo. Questa promozione può poi concretizzarsi nelle maniere più diverse a seconda delle caratteristiche del marchio in questione (dalla smaccata presenza dei suoi prodotti in ogni inquadratura fino al solo cartello “Sponsored by…” in testa ad ogni episodio).
All’interno delle webserie branded la storia di Leap Year è la più clamorosa e paradigmatica di quale senso abbia questo tipo di produzione e soprattutto di quali effetti possa sortire nel migliore dei casi, sia commercialmente che artisticamente.
Si tratta di una serie per la rete prodotta da Hiscox, società britannica con base alle Bermuda attiva nel campo delle assicurazioni per aziende, la quale, avendo deciso di sbarcare in terra statunitense, tra le molte cose ha anche appaltato ad uno studio esterno la produzione di una webserie con il proprio marchio che girasse intorno a storie di ragazzi e startup (quello era il mercato di riferimento).
Quello che è successo è che con un investimento pari al 3 per cento del loro budget in marketing per l’annata (400mila dollari) è stata prodotta la prima stagione di Leap Year, storia di 5 ragazzi che vengono licenziati e vogliono fondare una startup insieme. Un contest e del denaro però li separano e finiscono per fare 5 startup diverse in concorrenza. Storie di difficoltà nel far partire un business, molto piegate sul versante della vita privata e trattate con un ovvio tono di commedia.
La serie è molto ben fatta (e non a caso, dietro ci sono i fratelli Baranovsky, ma di questo parliamo dopo) e si è subito diffusa tramite Hulu nella nicchia delle startup, portando la conoscenza del marchio Hiscox in America (secondo la società stessa) da 0 al 10 per cento. A corollario ci sono tutti i diversi incrementi in social media follower del +1.300 per cento (per arrivare a 40mila follower) e un +2.300 per cento di menzioni sempre sui social media. Ovvio che poi se ne sia fatta una seconda stagione (sempre da dieci episodi ma in cui ognuno era in media lungo il doppio) e che questa abbia fatto svoltare la storia ancora di più verso il mondo delle startup, da che era semplicemente sull’imprenditoria giovanile.
I segreti di un simile successo sono due: la non invadenza del marchio, che non è mai presente nella storia ma compare solo prima dell’inizio di ogni video, e la perfetta calibrazione della scrittura per il target preso di mira. Leap Year parla alle persone che Hiscox voleva raggiungere e lo fa con competenza, divertimento e senza la distanza che altre produzioni simili pongono con la materia trattata. Parla in sostanza la loro lingua in maniera confidenziale.
Il merito è principalmente dei fratelli Baranovsky, veterani delle webserie (scrivevano e realizzavano Break a Leg quando ancora il formato “seriale” non era lo standard in rete), vincitori di diversi premi e di fatto vere autorità della produzione per internet (uno dei due in particolare, Yuri che è anche attore ha contribuito ad un manuale elettronico di scrittura per la rete ).
La caratteristica della scrittura e quindi dei prodotti dei due fratelli è l’uso di umorismo trasversale, adattabile a qualsiasi contesto ma soprattutto unisex. In un settore in cui impera un modello di storytelling maschilista e molto simile a quello dei canali televisivi maschili, in cui i protagonisti sono solo uomini e le donne vengono usate per le gag, i Branovsky spiccano per maturità e serietà senza sconfinare nell’alterità dal proprio pubblico. Non a caso costituiscono il volto più presentabile e innocuo delle webserie, ottimi per tutte le stagioni e in grado di piegare i propri progetti alle committenze.
Trovare spazi di autonomia, conquistare un pubblico e avere la certezza di un budget sul quale basare una pianificazione narrativa e produttiva e così sapersi adattare al mercato è una caratteristica determinante, che in Italia in pochissimi hanno capito e che per la nostra mentalità difficilmente si sposa con un exploit artistico. Eppure trovare un committente (che faccia da produttore) è ciò che fa la differenza tra una serie pilota frutto di uno sforzo inumano e un progetto serio.
LEAP YEAR SEASON 1 RECAP
LEAP YEAR SEASON 2 RECAP
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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