Sta succedendo qualcosa nel dorato mondo di YouTube. Sempre più le compagnie più grosse che fanno da editori, cioè quelle società che gestiscono diversi talenti e quindi diversi canali, stanno cercando di tirarsi fuori dalla piattaforma che fino a ieri (e in fondo anche oggi) appare come l’unica gallina dalle uova d’oro del video in rete.
La questione è molto complessa e molto dibattuta tra le stesse società, si tratta di un argomento importante soprattutto perché è la prima volta in assoluto che la posizione e l’atteggiamento di YouTube vengono messi in questione. Dunque, a prescindere dalla bontà delle argomentazioni e dalla loro veridicità o meno, è un tipo di opinione importante.
Innanzitutto il modello. Negli Stati Uniti da quando YouTube ha cominciato a finanziare la nascita di nuovi canali professionali che elevino lo status della piattaforma e generino video, non solo visti (le view non sono mai state il suo problema), ma anche buoni per gli investitori pubblicitari, sono spuntate come funghi società che gestiscono i talent creativi. Prendono cioè le persone più brave, le coltivano e fanno il “lavoro sporco”, cioè si occupano del canale, dei commenti, dei tag, di che argomenti trattare, di spingere i video, curare la community ecc., insomma tutto quel complesso di faccende che raccolgono click e view , che valorizzano i video e dunque generano denaro.
Queste società nei migliori casi hanno sotto di sé alcuni dei canali più importanti e più visti in assoluto, lavorano bene e guadagnano anche bene da YouTube. Tuttavia da qualche tempo stanno cercando fonti di reddito alternative, con una regolarità tale che non può trattarsi di una coincidenza.
Ad esempio una di queste, The Collective, ha rilevato Metacafe (un vecchio competitor di YouTube ormai moribondo), un’altra, MakerStudios, ha annunciato qualcosa di simile, cioè una piattaforma “concorrente” (in realtà sarebbe meglio dire autonoma e personale) su cui mettere i propri video, una star come iJustine, grande a sufficienza per fare le cose in proprio, ha fatto una webserie per AOL, Ray William Johnson ha firmato con Blip o ancora la grande YouTubeStar Phil DeFranco è diventata CEO di Revision3. E ultimo, ma non per importanza, Jason Calacanis , imprenditore di internet da più di un decennio, e curatore di tre dei maggiori canali di YouTube, ha deciso di non rinnovare la propria partnership con il Tubo, chiamandosi fuori e spiegando bene il perché in un <a href="http://blog.launch.co/blog/i-aint-gonna-work-on-youtubes-farm-no-more.html
“>post sul proprio blog che dà anche un’idea sulle motivazioni degli altri.
Secondo Calacanis YouTube è una piattaforma straordinaria da cui nessuno può prescindere, eppure lui è (probabilmente) il primo ad aver rifiutato la loro proposta di prolungare il finanziamento dei canali, poiché ha capito che il gioco in cui è stato coinvolto è solo a suo svantaggio. Sì, YouTube ha le visite, gli occhi e il denaro ma prende una fetta a suo dire eccessivamente grossa degli incassi, tanto per iniziare. Calacanis, con un giro di parole che gli impedisce di essere querelato (ogni youtuber firma un accordo in cui promette di non divulgare le cifre o le percentuali della parte economica del contratto), rivela che l’accordo tra YouTube e i creatori prevede che al primo vada il 45 per cento degli incassi e ai secondi il 55 per cento (ATTENZIONE: è la prima volta che questo tipo di informazione viene rivelata da una fonte così attendibile). La spartizione, a suo dire, è impossibile da sostenere come modello (per chi crea) e ingiusta rispetto al mercato che invece offre di meglio.
In seconda battuta spiega che YouTube con il suo sistema si è frapposto tra contenuti e investitori, cioè prende e gestisce in prima persona la pubblicità. Come sappiamo Google piazza banner e preroll sulle pagine e, secondo Calacanis, in maniera generica, cioè non con una pianificazione commerciale accurata ma a pioggia, tanto quel che serve a loro è il margine totale. Questo limita il profitto individuale (se io mi rivolgo ad un target che mi frutta più pubblicità dovrebbero darmi una serie di spot ritagliati sulle mie esigenze con brand o marchi interessati al mio target), qualcosa che al Tubo interessa ben poco. Inoltre YouTube controlla la relazione con i consumatori attraverso le sue pagine e il suo sistema di posta interna.
Questa però non è la parte veramente grave, dice Calacanis, quello che lui ha capito essere il futuro è il controllo dei talent, cioè dei creativi delle singole società. Attraverso eventi come la Comedy Week, cioè grandi cross over tra talent che vengono eccezionalmente gestiti da YouTube, l’aggregatore cerca di operare una disintermediazione, cioè cerca di dire ai talent: “Venite con noi e fate soldi da soli, senza le società a fare da tramite”. Qualcuno già ha accettato.
È il medesimo meccanismo della pubblicità, solo con i creativi, non più gestiti da singole compagnie (o editori) ma direttamente dal Tubo. Il motivo, dice Calacanis, è semplice: se queste società diventassero troppo grosse potrebbero mettersi insieme e facilmente diventare un competitor davvero serio, con in mano il 10 per cento dei contenuti che fanno il massimo del traffico sull’aggregatore di Google.
Se quel che dice Calacanis è vero e se questa tendenza dei maggiori canali e talent a cercare guadagni fuori da YouTube non è passeggera, sta davvero succedendo qualcosa.
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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