Quelli estivi sono stati mesi movimentati per YouTube. Il sito ha cominciato a luglio annunciando di essere in procinto di superare il suo problema storico, quello della scarsa capacità di trasformare i milioni di utenti che colleziona in soldi. Strategie differenziate, apertura a video professionali, un sistema di riconoscimento per i video musicali in modo da associare loro della pubblicità o un link ad iTunes e tutti gli altri piccoli cambiamenti raccontati in questi mesi stanno dando frutti. In un anno gli utenti che guardano pubblicità sono triplicati e continuano ad aumentare.
In agosto poi il sito ha annunciato che avrebbe dato vita a News Near You, una sezione in grado di aggregare video uploadati da computer non più lontani di 160 chilometri selezionati dalla posizione dell’utente, e anche l’aggiunta di nuovi contenuti professionali selezionati dal catalogo Time Warner (roba come Gossip Girl o lo show di Ellen DeGeneres), più la voce che circola da qualche giorno di un futuro nel noleggio di film (in streaming). Oltre a questo il più grande sito al mondo di video ha continuato ad introdurre piccole novità in grado di fruttargli spiccioli, come quella che vede i video sponsorizzati ora pronti a comparire anche tra quelli consigliati e non più solo nella home page o nella pagina dei risultati di ricerca.
Succede in sostanza che YouTube si rassegna all’inesistenza di un modello di business unico e comincia a ragionare non tanto da “sito” quanto da “rete” . In sè il grande aggregatore contiene un universo, una rete audiovisuale dotata di una varietà di contenuti, scopi, casi e opportunità simile (in piccolo) a quella di Internet. C’è l’UCG, la musica, i videodiari, le web serie e allora perché anche non la TV e il cinema?
Per questo al contrario di Hulu (il sito joint venture di NBC/Fox che presenta i contenuti della televisione e del cinema visibile solo dagli USA a cui la divisione di Google viene spesso paragonato) YouTube non può contare sul classico modello di revenue basato su uno o massimo due modi di guadagnare, poiché troppo diversi fra loro sono i suoi possibili contenuti. Ecco allora che diversi modelli per diverse occasioni sembrano più appropriati, tanto che non è difficile prevedere che altri ne arriveranno, in primis un sistema di pagamento diretto se la storia dei noleggi andasse in porto (ad ogni modo voci accreditate sostengono che la visione gratuita supportata dalla pubblicità sarà anche un’altra opzione possibile).
Di tutte queste novità però quella che influisce di più su quella parte di video di YouTube che sono le produzioni specifiche per la rete è un’altra ancora. Da poco più di una settimana tutti i video possono godere del Partners Program , un’opzione che in passato era riservata unicamente ad alcuni canali che avevano dato prova di avere un’utenza fidelizzata sufficientemente grande. Adesso l’idea della selezione rimane (per tipo di contenuti, numero visite e sottoscrizioni al canale) ma la soglia d’ammissione si abbassa e soprattutto l’unità minima viene spostata al singolo video e non più al canale. In sostanza a chiunque abbia postato un video in grado di attirare un numero sufficiente di visitatori e che sia in linea con le regole del sito arriverà comunicazione della possibilità di ricevere da quel momento in poi la metà degli introiti sugli spazi pubblicitari presenti nella pagina, i quali saranno opportunamente venduti da Google stesso.
In passato ci avevano provato anche altri aggregatori concorrenti a dividere gli introiti con i propri utenti in grado di attirare un certo numero di spettatori, ma la cosa non aveva funzionato. YouTube però gode degli AdSense di Google e di una concessionaria pubblicitaria sicuramente più abile e soprattutto non poggia tutte le sue idee di sopravvivenza su quell’unico modello. E non è un caso che su quegli aggregatori, come Revver , avessero cercato fortuna alcune serie per la rete tra cui la capostipite lonelygirl15 . Una monetizzazione diretta per ogni singolo video in base al numero di visite è infatti una modalità eccezionale per chiunque aspiri a produrre qualcosa per la rete partendo da zero.
Ora che YouTube acconsente a remunerare chiunque raggiunga un certo numero di visite (numero che al momento non è stato rilasciato) non è difficile prevedere che chi abbia in mente di veicolare una serie in rete non tralascerà di aprire anche un canale YouTube oltre a distribuire gli episodi dal proprio sito e soprattutto non utilizzerà player di terze parti per l’embedding. In ogni canale di ogni serie che si rispetti e che abbia un minimo successo infatti esistono uno o due episodi le cui visite sono decisamente più alte delle altre, perché magari sono gli episodi embeddati negli articoli che parlano di quella serie o perché contengono parole chiave e temi particolarmente virali. Fatto sta che anche per serie meno fortunate il successo di quei soli due video potrebbe anche dare un’idea di guadagno a progetti che ad ora esistono e prosperano senza nessun profitto diretto dalla distribuzione.
Inoltre non è da trascurare l’idea che la piattaforma di Google (dotata anche di un sistema di feed che organizza i canali e segnala i nuovi video/episodi) potrebbe diventare uno standard per la distribuzione (date anche le nuove possibilità di cambio formato e alta qualità) potenzialmente facendo fuori rivali come Blip.tv, che negli ultimi mesi si era guadagnato il ruolo di piattaforma preferita dalle serie.
Gabriele Niola
Il blog di G.N.
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