Il World Economic Forum (WEF) di Davos lancia l’allarme sulle sfide poste dalla cosiddetta “quarta rivoluzione industriale”, un fenomeno già in atto che nel giro di cinque anni porterà alla perdita netta di 5 milioni di posti di lavoro nelle 15 economie mondiali più sviluppate. Ora come non mai, il compito di regolare questo sconvolgimento spetta – o quantomeno spetterebbe – alla politica e ai parlamenti nazionali e non solo.
Il nuovo appuntamento annuale del WEF a Davos è incentrato sullo studio degli effetti economici derivanti dalla diffusione di tecnologie avanzate come robotica, nanotecnologie, stampa 3D e biotech, e la ricerca della fondazione non profit ha preso in esame 13 milioni di dipendenti in nove diversi settori industriali nelle prime 15 economie nazionali del pianeta.
Il risultato non lascia adito a dubbi: in cinque anni si perderanno 7,1 milioni di posti di lavoro, e i 2 milioni creati nel frattempo non potranno compensare. Particolarmente colpite le donne, anche se il fenomeno riguarderà tutti.
I settori più colpiti includono i lavori amministrativi o da ufficio, ambito in cui le macchine “smart” si incaricheranno di un numero sempre maggiore di lavori di routine, l’energia, la finanza, la produzione e la cura della salute.
La robotica, il trasporto autonomo e l’intelligenza artificiale daranno il colpo di grazia all’ottimismo dispensato a pieni polmoni da certi leader politici col vizio dell’iperbole, ma le tecnologie disponibili già oggi (IoT, stampa 3D) e i fenomeni sociali difficili da contrastare (invecchiamento della popolazione, cambiamenti nel trattamento della privacy) si faranno sentire molto prima.
Alfonso Maruccia