Windows Genuine Advanage (WGA), il sistema di controllo dell’autenticità del software di Microsoft, non costituisce spyware. O almeno un giudice del tribunale di Washington ha archiviato il caso che vedeva Redmond sul banco degli imputanti per il discusso sistema di verificazione dei programmi installati sul PC.
La prima causa per WGA risale al 2006, quando il Tribunale di Seattle aveva accolto una istanza per l’istituzione di class action, ma il tutto si era concluso con l’archiviazione del procedimento: il giudice ritenne che il sistema di verifica di Windows non gestisse alcun dato personale.
A settembre 2009, per il medesimo software, Microsoft viene però nuovamente condotta davanti a un Tribunale, stavolta quello di Washington. Con le medesime accuse: violazione di privacy e il tentativo di passare il WGA come un aggiornamento necessario alla sicurezza del PC e non come un sistema di verifica della genuinità di software, sviando gli utenti.
Anche il nuovo procedimento non era partito, per l’accusa, sotto i migliori auspici: il giudice distrettuale Richard Jones aveva respinto la class action . Comunque andasse BigM avrebbe evitato di pagare centinaia di milioni di dollari, quelli che potenzialmente erano da risarcire se tutti gli utenti che nel 2006 utilizzavano Windows XP si fossero uniti al caso.
Nel frattempo Microsoft ha rilasciato una nuova versione di WGA: l’ invio di informazioni sui programmi installati sul PC dell’utente è cadenzato diversamente (inizialmente il report era giornaliero, poi Microsoft dichiarava 90 giorni) e, nel caso di licenze dubbie, gli utenti non sono bloccati ma ricevono periodicamente l’invito a reinstallare o acquistare una copia originale di Windows.
Ora il caso è stato definitivamente archiviato con pregiudizio (ovvero la stessa corte non accetterà ricorsi o nuovi procedimenti relativi alla stessa questione), un giorno dopo che le parti avevano deciso comunque di ritirarlo. Tecnicamente, dunque, sembra esserci stato un accordo, anche se fonti riferiscono che Microsoft non abbia dovuto pagare nulla oltre alle sue spese legali.
A convincere il querelante a far cadere le accuse, sembrerebbe, le precedenti decisioni del giudice Jones: rifiutare la class action riconoscendo a Redmond il diritto a vedersi compensate le spese legali sostenute per difendersi da tale possibilità, ma anche l’ opinione secondo cui la raccolta da parte di WGA degli indirizzi IP non costituisce una violazione dei termini di licenza dal momento che non costituiscono “informazioni personali identificabili”.
Claudio Tamburrino