In questa guerra che ci mette tutti sullo stesso fronte, possiamo essere delatori e individualisti, oppure essere in prima fila assieme ad altri per cercare di sfuggire al nemico. Ecco perché è importante che gli strumenti dell’informazione aiutino i primi e ostacolino i secondi, ponendo un sistema democratico di resistenze che fermino la viralità per incoraggiare l’introspezione, l’analisi e l’impegno. Così come ha fatto WhatsApp. Esatto, WhatsApp: uno dei principali veicoli di diffusione della disinformazione in questo periodo estremamente delicato, ha fatto qualcosa di buono e ora ne fotografa anche i risultati. Eccoli.
WhatsApp e l’inoltra dimezzato
WhatsApp ha comunicato al “Ministry of Electronics and Information Technology” indiano, Ravi Shankar Prasad, che i limiti di “inoltra” che sono stati posti sul sistema di diffusione dei messaggi WhatsApp ha avuto forte successo. La catena degli “inoltra”, infatti, si è ridotta del 70% semplicemente ostacolandone il flusso ed aumentando la consapevolezza degli utenti circa il reale valore di un messaggio inoltrato da fonte ignota. Non sappiamo quale sia il fattore R0 della viralità dei messaggi su WhatsApp (tanto per usare terminologie ormai note nell’università di Facebook), ma sapere che si è ridotta del 70% è un primo buon indizio. Non è solo disinformazione quella che passava per queste vie: c’erano anche meme e video, quiz e giochini di logica, ma nel mare magnum dell’Inoltra erano soprattutto i flussi freddi delle fake news sa trovare l’onda lunga del passaparola. Una rete nel mezzo per ripulire i canali non può che far bene alla salubrità dello strumento.
L’India è stata per molto tempo sotto pressione, messa sotto scacco da fake news che circolavano a colpi di inoltra creando disordini sociali importanti sulla semplice scia della disinformazione incanalata nel passaparola compulsivo. Ad un certo punto WhatsApp non ha più potuto negare gli addebiti: l’abuso dello strumento ha inanellato una serie di disordini, con tanto di decessi e raid punitivi tra fazioni opposte, che hanno portato la questione agli onori delle cronache. Cronache lontane nello spazio e nel tempo, visto che arrivano dall’altra parte del globo ed a qualche anno fa (correva l’anno 2017). Ma è da allora che WhatsApp limita gli “inoltra”, e ultimamente ha ulteriormente tagliato tale strumento per evitare che la disinformazione potesse avere tasso di diffusione – pur se rallentato – privo di una fine.
Non c’è limite alla libertà di espressione, né c’è un filtro semantico a monte: semplicemente si fermano gli “Inoltra” compulsivi per costringere a leggere, interpretare e riscrivere un messaggio che si vorrebbe perpetrato. Basta questo per scoraggiarne la divulgazione e per portare a maggior riflessione sulla fonte, sulla veridicità e sull’opportunità della trasmissione verso altri.
Il problema indiano è ora un problema internazionale: virologi improbabili, teorie pericolose e sterile indignazione che attecchiscono facilmente sulla fragilità dei reclusi in questa quarantena collettiva rappresentano un pericolo potente per la salute e per la tenuta sociale. Ma possiamo tutti fare qualcosa e WhatsApp a modo proprio lo ha fatto: ha tagliato le dinamiche della disinformazione ammettendo di fatto le proprie colpe e castrando la propria stessa viralità in virtù di una innegabile ed improrogabile responsabilità sociale.
Responsabilità sociale.