Nell’integrarsi più strettamente a Facebook introducendo la condivisione dei dati fra le due piattaforme, anche a scopo pubblicitario, nell’indurre gli utenti ad accettare queste rinnovate condizioni, a dispetto delle promesse formulate al momento dell’acquisizione da parte del social network in blu, WhatsApp ha violato il Codice del Consumo : lo ha stabilito l’autorità antitrust italiana, che ha comminato al servizio una sanzione da tre milioni di euro .
L’AGCM aveva iniziato ad indagare formalmente sulla posizione di WhatsApp nel mese di ottobre dello scorso anno, a pochi mesi dall’ annuncio del cambiamento dei termini contrattuali, ad abbracciare la condivisione dei dati con Facebook: due erano le istruttorie avviate, una volta ad analizzare le modalità con cui il servizio di messaggistica istantanea ha sottoposto ai propri utenti il cambio delle condizioni d’uso, l’altra a valutare la regolarità di alcune delle clausole dei Termini di servizio dell’applicazione.
Per quanto riguarda il primo procedimento , l’AGCM ha analizzato le modalità con cui WhatsApp ha segnalato ai propri utenti “la condivisione con Facebook di alcune informazioni degli
utenti di WhatsApp Messenger per migliorare le proprie esperienze con le inserzioni e i prodotti di Facebook , in altri termini detto per finalità proprie di Facebook relative a propri prodotti e finalità pubblicitarie “. Gli utenti di WhatsApp già registrati ad agosto 2016, alla prima apertura dell’app, ricevevano un messaggio che li informava della necessità dell’accettazione dei nuovi termini d’uso , messaggio che si sarebbe ripresentato per 30 giorni fino alla conferma dell’accettazione. Il Garante aveva rilevato poi che WhatsApp avrebbe in diverso modo indotto gli utenti ad accettare le modifiche : “secondo quanto prospettato nel messaggio – osserva l’AGCM – l’utente non avrebbe potuto più continuare ad utilizzare l’app e il suo account sarebbe stato cancellato, trascorso un certo tempo tecnico, secondo le procedure interne di WhatsApp”, mentre nella comunicazione che compariva a seguito dei 30 giorni di mancata accettazione si affermava che “Se non desideri accettare, dovrai interrompere l’uso di WhatsApp”. L’accettazione delle modifiche alle condizioni d’uso, però, non determinava necessariamente l’autorizzazione alla condivisione dei dati fra i due servizi, a dispetto di quanto WhatsApp sembrava voler suggerire: all’utente era concesso negare l’autorizzazione alla condivisione, deselezionando il segno di spunta apposto accanto alla clausola o operando a posteriori sulle impostazioni del servizio.
WhatsApp, chiamata a rispondere dall’authority, ha sostenuto di aver diffuso “un’informativa dell’aggiornamento adeguata e prominente , trasparente e comprensibile , all’interno dell’applicazione e tramite numerosi altri mezzi (FAQ e blog sul sito web)” e di non aver adottato alcuna pratica aggressiva, nel rispetto del Codice del Consumo, “in quanto non sarebbe dimostrata e dimostrabile la sussistenza di molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento “. L’azienda inoltre ha posto rilevanza sulle tempistiche offerte al consumatore per valutare la propria scelta, peraltro aggiornabile ricorrendo alle impostazioni dell’app, e sul fatto che, date le procedure aperte nel contesto europeo da diverse autorità che si occupano della tutela della privacy dei cittadini, la condivisione dei dati per finalità pubblicitarie è stata sospesa e rimandata a data da destinarsi.
Secondo quanto ha riferito WhatsApp al Garante, della popolazione stimata fra i 30 e i 50 milioni di utenti italiani , un numero calcolato fra i 2 e i 7 milioni ha scelto di non autorizzare la condivisione dei propri dati con Facebook: una operazione dunque possibile, ma secondo il Garante presentata in maniera macchinosa, a tutto vantaggio del polo Facebook-WhatsApp. La rilevanza economica della condivisione dei dati è evidente, segnala l’AGCM a dispetto di quanto sostenuto da WhatsApp, “che nega il valore economico dei dati personali degli utenti” pur ammettendo nelle dichiarazioni raccolte negli atti che “l’attività di condivisione dei dati con Facebook migliorerà l’attività di advertising della medesima e dovrebbe generare ricavi direttamente a Facebook “.
È dunque altrettanto evidente il vantaggio di proporre agli utenti l’accettazione delle modifiche contrattuali “attraverso una procedura in-app (…) che prevedeva l’informazione sulla necessità di tale accettazione a pena di dover interrompere la fruizione del servizio, l’inadeguata evidenziazione della possibilità di poter negare il consenso alla condivisione dei dati con Facebook e la difficoltà di poter esercitare concretamente tale opzione”, offerta solo in regime di opt-out e in una pagina secondaria , accessibile dalla schermata presentata dall’app solo all’utente che avesse scelto di approfondire.
Secondo il Garante, WhatsApp ha dunque adottato una pratica commerciale aggressiva , che attraverso un indebito condizionamento ha di fatto limitato la libertà di scelta il comportamento del consumatore medio. Una condotta che, analizzata la gravità e il perdurare della violazione, il valore dell’operazione per Facebook e la posizione sul mercato dell’app di messaggistica, è valsa a WhatsApp l’ordine di interrompere immediatamente il comportamento e una sanzione di 4 milioni di euro, ridotta però a 3 milioni di euro dall’attenuante della sospensione sul territorio europeo della condivisione dei dati con Facebook.
La sanzione irrogata dall’AGCM per la violazione del codice del consumo nel contesto del rinnovamento del termini contrattuali volto alla condivisione dei dati con Facebook non è però l’unico provvedimento adottato dall’authority antitrust. Anche la seconda istruttoria , avviata per accertare l’eventuale vessatorietà delle clausole contrattuali , si è conclusa con un rimprovero per il servizio di messaggistica: fra le altre condizioni, la genericità nell’assunzione e nella limitazione delle responsabilità in capo al servizio, il fatto di riservarsi unilateralmente il diritto di sospendere il servizio senza motivo né preavviso, anche rispetto al singolo utente, e di modificare, anche in termini economici, le condizioni d’uso, sono state ritenute dall’AGCM clausole di natura vessatoria. Per questo motivo il servizio dovrà presentare all’utente italiano adeguata informativa sulla versione in italiano del sito dedicato all’app e attraverso una notifica veicolata dall’applicazione.
Gaia Bottà