Le autorità brasiliane non appaiono disposte a tollerare che WhatsApp non collabori con la giustizia negando di consegnare dati relativi alle comunicazioni dei propri utenti, dati da cui il servizio di messaggistica si è distaccato con l’implementazione di sistemi di cifratura end to end. Un giudice dello stato di Sergipe ha decretato il blocco dell’app di messaggistica per 72 ore in tutto il Brasile.
Non è la prima volta che le autorità brasiliane muovono nei confronti di WhatsApp: già nel mese di dicembre era stata emessa un’ingiunzione che obbligava i fornitori di connettività locali a interrompere il traffico mediato dall’app, un ordine che si presumeva correlato al fatto che WhatsApp non avesse consegnato dei dati relativi ai propri utenti, non disponibili perché cifrati. Il blocco era stato presto revocato: la mancata collaborazione dell’azienda, benché in violazione dell’obbligo di collaborazione dettato da una peculiare interpretazione del noto Marco Civil, non avrebbe potuto determinare la sospensione di un servizio fondamentale per milioni di cittadini, spiegava il giudice che aveva decretato la sospensione dell’ordinanza di blocco. Ma il Brasile non ha rinunciato ad esercitare pressioni su WhatsApp: lo stesso magistrato che ha ora imposto agli operatori il blocco del traffico dell’app aveva disposto nel mese di marzo l’ arresto del dirigente Facebook Diego Dzodan perché fosse interrogato riguardo alla mancata collaborazione alle indagini da parte di WhatsApp.
Il nuovo ordine di sospensione, riferisce il quotidiano brasiliano Folha de São Paulo , appare connesso allo stesso caso che ha determinato l’arresto e il pronto rilascio di Dzodan, nel contesto di indagini su una rete di trafficanti di droga a cui WhatsApp non starebbe collaborando come richiesto dalle forze dell’ordine.
I portavoce di WhatsApp hanno riferito di aver offerto alla giustizia brasiliana il massimo della propria disponibilità, ma l’applicazione ha di recente esteso la cifratura end to end a tutti i contenuti e a tutti i canali di comunicazione, dichiarando così la propria terzietà rispetto all’uso che gli utenti fanno dell’app. Una posizione ribadita in queste ore dal CEO e cofondatore di WhatsApp Jan Koum: “ancora una volta milioni di cittadini brasiliani innocenti vengono puniti perché un tribunale vuole che WhatsApp consegni delle informazioni che abbiamo ripetutamente spiegato di non avere a disposizione”.
Se è vero che WhatsApp è il servizio di messaggistica mobile più utilizzato nel paese, con 100 milioni di utenti, il 91 per cento degli utenti mobile, le soluzioni alternative a WhatsApp non mancano, e i cittadini mostrano di conoscerle. Ma è altresì vero che il Brasile potrebbe tentare di scoraggiarne l’uso in maniera sistematica , ai danni del diritto alla privacy della società civile: gli attivisti di EFF ricordano che la commissione parlamentare d’inchiesta che opera per combattere i crimes cibernéticos sta lavorando a un pacchetto di proposte che prevedono di consolidare i poteri della magistratura, formalizzando la possibilità per i giudici di emettere ordinanze nei confronti dei fornitori di connettività, affinché sotto minaccia di sanzioni sospendano il traffico dei siti e delle applicazioni sospettate di essere usate per intenti criminali o che non si prestino a collaborare consegnando informazioni utili alle indagini.
Gaia Bottà