WhatsApp cambia il rapporto tra scuola e genitori

WhatsApp cambia il rapporto tra scuola e genitori

I gruppi WhatsApp di genitori cambiano i flussi di comunicazione con la scuola e sbilanciano i rapporti di forza tra corpo docenti, alunni e famiglie.
WhatsApp cambia il rapporto tra scuola e genitori
I gruppi WhatsApp di genitori cambiano i flussi di comunicazione con la scuola e sbilanciano i rapporti di forza tra corpo docenti, alunni e famiglie.

Chi ha più di qualche primavera alle spalle non faticherà a ricordare come un tempo le modalità di interazione tra la scuola e la famiglia erano ben definite, caratterizzate da schemi precisi, da ambedue le parti riconosciuti e rispettati: un momento di colloquio e confronto tra insegnanti e genitori, la firma apposta al voto assegnato in un compito in classe, nel peggiore dei casi una nota sul diario a testimoniare un comportamento al di sopra delle righe o al di fuori delle regole.

Altri tempi. Oggi lo scambio avviene in modo diverso, facendosi talvolta costante e continuativo, complice l’avvento di sistemi e tecnologie che di fatto tendono a smantellare la distanza tra le parti, non solo fisica, ma anche comunicativa. Nel bene e nel male. Se è fuori discussione l’utilità di strumenti come il registro elettronico nelle mani dei docenti, l’uso e talvolta l’abuso di altri mezzi mostra il fianco a interpretazioni differenti. Alzi la mano chi non condivide un gruppo di chat con gli altri genitori o addirittura con maestri e professori. Tutti dentro, nello stesso calderone, tutti con il medesimo diritto a prendere parola, azzerando o quantomeno assottigliando gerarchie che, forse, invece all’interno dell’ambito educativo sarebbe doveroso mantenere inalterate.

Una dinamica modificata non dall’ingresso di dispositivi e tecnologie nel contesto scolastico (altro tema che da lungo tempo genera dibattito), bensì dalle loro modalità di impiego lontano dalla classe, in uno scambio che nemmeno vede protagonista l’oggetto fulcro della discussione, l’alunno. Un cambiamento avvenuto in modo graduale, quasi senza che ce ne accorgessimo, dando vita a quella che pare ormai essere la norma, tanto che non appena qualcuno vi si oppone il caso assume i connotati di un’eccezione e fa notizia: ne è esempio la decisione del Comune di San Savino (Arezzo) che ha scelto di mettere al bando la chat con genitori ed educatori.

Sul tema (del quale è urgente parlare in occasione del Back to school 2018) è intervenuta lo scorso anno l’ormai ex ministro Fedeli, che dal palco del Festival della TV e dei Nuovi Media ha affermato come “non si possa fare nulla” poiché “esiste la libertà di utilizzo degli strumenti”. La volontà dichiarata dell’istituzione è quello di ripristinare un rapporto di reciproca fiducia e rispetto tra i docenti e i genitori: attraverso quali modalità o iniziative concrete, non è dato a sapere.

Se è vero che il rapporto tra gli insegnanti e la famiglia può costituire un fattore di determinante importanza nello sviluppo e nella definizione delle strategie di apprendimento da adottare, la cooperazione tra le parti non è sempre cosa semplice o priva di attriti. Ancora una volta la tecnologia si pone nel mezzo come strumento neutro, assumendo un valore positivo o negativo a seconda dell’utilizzo che si sceglie di farne.

Netiquette

Non se ne esce, probabilmente, se non attraverso una maggior educazione… dei genitori. Anche in questi ultimi è necessario lo sviluppo di una cultura digitale, di una consapevolezza e di una capacità critica superiori. Soprattutto in questi ultimi è fondamentale innescare la capacità di agire in contesti nuovi come quelli delle chat, che implicano differenti dinamiche di dialogo e sulle quali non è possibile muoversi come lo si fa nella realtà.

Tutto ciò può essere riassunto nella logica della netiquette, principi di comportamento e buona educazione che, già di per se stessi importanti nella dimensione offline, diventano del tutto fondamentali nella dimensione online. Poche semplici regole potrebbero infatti rendere l’esperienza sulle chat di classe estremamente migliori, salvandole in qualità di strumenti dai divieti che oggi intervengono a sopprimere le peggiori situazioni:

  1. la chat di classe non è un luogo ove portare catene di Sant’Antonio, spam personale o convinzioni politiche: il tacito accordo è che la chat rappresenta un’utilità comune;
  2. ogni messaggio non utile è rumore di fondo che può infastidire: la chat va usata soltanto in caso di urgente, effettiva ed esplicita necessità;
  3. la chat è un luogo di scambio, ma spesso non è lo strumento migliore per il dialogo e il confronto: prima di innescare o alimentare flame, valutare come e se spostare la discussione in altri contesti;
  4. la chat non può influire sui canali di comunicazione ufficiali della scuola, ma può soltanto farsene eco: la scuola deve utilizzare canali ufficiali di propria scelta senza essere giocoforza coinvolta in un canale il cui utilizzo è semplice e naturale discrezione dei genitori che intendono parteciparvi;
  5. la chat non è il luogo in cui parlare di proprio figlio o dei figli altrui: è un luogo sociale di utilità sociale, con finalità mirate e contesto preciso.

Il buon senso, la buona educazione ed il senso critico di fronte alla natura delle nuove tecnologie sono gli ingredienti sufficienti per rendere una chat di classe (o di condominio, o dell’associazione, o di altre entità aggregative similari) un luogo di scambio di comune utilità. Ingredienti fondamentali, semplici, ma spesso scarsi.

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Pubblicato il
5 set 2018
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