Un’indagine del Guardian mette in croce Whisper, un servizio (composto da una app per smartphone più un sito Web ) pensato per offrire la protezione dell’anonimato a chiunque voglia rivelare notizie o fatti imbarazzanti, socialmente discutibili o anche illegali. In realtà gli utenti vengono tracciati sempre e comunque, e con precisione notevole, denuncia il quotidiano.
Whisper ha vocazioni da whistleblower social ma anche da fonte di notizie interessanti degne di essere pubblicate fuori e dentro dalla Rete: non a caso il Guardian era tra le organizzazioni (assieme a Buzzfeed) interessate a stringere una partnership con la start-up per approfittare della possibilità di scovare nuove fonti di interesse.
Il quotidiano ha inviato i suoi reporter negli uffici di Whisper, ma quello che i reporter hanno scoperto ha portato alla cancellazione di ogni prospettiva di partnership e all’indagine rimbalza in Rete: Whisper è una vera e propria app “spia”, che per di più non ha alcun problema a condividere le informazioni riservate sugli utenti con le autorità statunitensi e britanniche, laddove queste lo richiedano.
Le soffiate su Whisper possono avvenire in forma completamente anonima o circostanziata attraverso l’uso di geotag, ma stando a quanto hanno scoperto i giornalisti il pulsante di opt-out dal geotagging non servirebbe a niente e il servizio continuerebbe a tracciare la posizione dell’utente sempre e comunque. Anche la promessa di conservare i post dei netizen (composti da un’immagine descrittiva e qualche riga di testo in sovrimpressione) per “breve tempo” e poi procedere alla cancellazione è una pura e semplice bugia, sostiene il Guardian .
First response: The Guardian’s piece is lousy with falsehoods, and we will be debunking them all. Much more to come.
– Neetzan Zimmerman (@neetzan) 16 Ottobre 2014
Second response: The Guardian made a mistake posting that story and they will regret it.
– Neetzan Zimmerman (@neetzan) 16 Ottobre 2014
Il management di Whisper ha controbattuto alle accuse parlando a propria volta di bugie, una collezione di falsità di cui il giornale si sarebbe presto pentito: la geolocalizzazione e l’individuazione dell’indirizzo IP degli utenti sono estremamente imprecise, sostiene la società, e la posizione dell’utente può indicare una zona ampia 500 metri. Anche l’accusa, sempre avanzata dal Guardian , di aver cambiato policy in fretta e furia sarebbe ridicola: quelle modifiche, spiega Whisper, erano in discussione da mesi.
Whisper continua a sostenere di non tracciare i suoi utenti “anonimi”, e di collaborare con le autorità perché costretta. Ma i dubbi sul reale operato del servizio continuano a non essere pochi , e anche il codice della app (analizzato da un esperto di sicurezza) sembra confermare la storia del Guardian e incastrare la società alle proprie responsabilità.
L’anonimato è diventato un business ma la privacy è sempre aleatoria, un mantra post-Datagate che ha generato dubbi per ogni dove: anche per anonabox non mancano le polemiche e le accuse di truffa. Lo scatolotto che vuole anonimizzare tutto il traffico di rete grazie alla rete Tor è stato descritto come una copia di un prodotto cinese già disponibile – e molto meno costoso – mentre le promesse degli sviluppatori vengono messe in croce sul fronte della reale natura open source del gadget e sul fronte della propaganda che venderebbe una sicurezza inesistente illudendo gli utenti. Per il momento, la campagna di crowdfunding su Kickstarter continua come se nulla fosse e i soldi raccolti superano il mezzo milione di dollari (a fronte di un obiettivo iniziale di 7.500 dollari).
Alfonso Maruccia