Roma – Egregio Direttore, ho letto con interesse le osservazioni di Marco A. Calamari in Punto Informatico del 7 ottobre scorso. Pur apprezzando gli articoli pieni di acume che Marco Calamari ha da sempre scritto vorrei puntualizzare alcuni aspetti relativi alla normativa di recente approvata.
Premetto che non spetta a me esercitare difese d’ufficio dei provider né difendere un’iniziativa governativa nella quale il sottoscritto non ha avuto alcun pregio tuttavia mi sembra opportuno puntualizzare che presentare il decreto da poco firmato come la “solita storia all’italiana”, e che la portata delle norme in esso contenute sia stata ridotta ad un semplice “accontentare la lobby degli ISP” mi sembra alquanto riduttivo.
E’ vero, infatti, che gli Internet Service Provider (e soprattutto i piccoli e medi, che operano nelle realtà di provincia), dopo l’emanazione del decreto 28 maggio 2003 (che oggi potrebbe essere definito come il “mezzo” decreto wi-fi), hanno esercitato forti pressioni in gruppo (o meglio in “associazione”) per veder riconosciuto il diritto a poter fornire il servizio al pubblico anche in modalità “ultimo miglio”, o comunque a veder eliminate le anacronistiche limitazioni contenute nel testo originale. Credo tuttavia che si possa affermare che questo intenso lavoro, se vi è stato, è servito a dare un impulso alla liberalizzazione delle telecomunicazioni, che ha subito negli anni di massima esplosione delle comunicazioni elettroniche una pausa d’arresto.
Basti pensare nel solo settore del wireless, che in due anni (che nel mondo delle TLC sono un secolo) di vigenza del precedente testo non vi è stata di fatto un’evoluzione delle tecnologie e del mercato nella modalità “hot-spot”, l’unica sino ad oggi consentita perchè la maggior parte dei potenziali usi era proibita dalla legge.
E questo è avvenuto a discapito della diffusione delle tecnologie per tutti i cittadini e alimentando il “digital divide” proprio nelle zone dove tale divario si avvertiva in maniera maggiore, ovvero nei luoghi inaccessibili alla banda larga. La rimozione dei vincoli infatti permette alla tecnologia wireless di realizzare la vera aspirazione di chi vuole eliminare o ridurre il digital divide ovvero quella di portare la Rete dove i cavi non possono arrivare, e non quella di competere con “gprs”, “edge” o “umts” nei salottini degli aeroporti.
Quante attività lavorative oggi possono essere svolte completamente via Internet o comunque grazie all’utilizzo della rete? A quanti giovani o meno giovani è stato impedito di sviluppare e concretizzare le proprie idee innovative solo perché “un operatore di TLC dominante” non aveva interesse ad aggiornare la centrale telefonica di quel paesino, magari distante solo pochi chilometri da grandi centri urbani?
Invece di lamentarci del fatto che, in base al codice delle Comunicazioni e malgrado il nuovo decreto, non sia ancora possibile per i privati creare reti wireless che impegnino il suolo pubblico, bisognerebbe invece gioire per gli 11 milioni di concittadini italiani che sino ad oggi dovevano scontrarsi con i modem analogici a 56K.
Oggi invece per loro c’é molto più di una semplice speranza, poiché, grazie alle autorizzazioni temporanee alla sperimentazione del wireless “ultimo-miglio”, in molti territori non coperti dal Dsl le reti wireless sono già state approntate ed hanno già avuto un congruo periodo di collaudo, e ora finalmente i servizi potranno partire “ufficialmente”.
Quanto poi alla possibilità che semplici cittadini possano interconnettersi implementando reti fuori dal proprio fondo è opportuno ricordare che lo spettro radio è una risorsa scarsa, ed in quanto tale non è mai stato di libero uso: chi vuole sperimentare ha la possibilità di farlo seguendo le regole del Codice delle Comunicazioni il quale, recependo le direttive della Comunità Europea, ha snellito molte delle procedure previdenti, come ad esempio quelle per poter operare come radioamatore.
Sino all’entrata in vigore del Codice, infatti, per esercitare l’attività di radioamatore (chi scrive è radioamatore da oltre 15 anni) era necessaria, previo ottenimento della “patente di operatore di stazioni di radioamatore” a seguito di esame, una licenza che comportava attese di molti mesi per essere ottenuta. Oggi, invece, una volta ottenuta la patente, è sufficiente la presentazione della domanda di autorizzazione generale per ottenere il nominativo di stazione e poter operare in frequenza, anche in “wi-fi”: i primi sei canali del Wi-Fi a 2.4 Ghz rientrano anche nelle frequenze assegnate ai radioamatori; l’art. 12 comma 4 dell’allegato 26 al codice delle Comunicazioni, oltretutto, consente ai radioamatori di interconnettere le proprie stazioni con le reti pubbliche di comunicazione elettronica anche per il “conseguimento delle finalità proprie dell’attività di radioamatore”.
Non dobbiamo confondere assolutamente “l’open source”, pienamente condivisibile, con “l’open spectrum” (inteso come libero utilizzo dello spettro radio), si corre il rischio di fare di ogni erba un fascio, perdendo
di vista i reali bisogni dei cittadini.
La conclusione che trarrei da questa breve disamina è che, a parere di chi scrive, non vi sono limiti così evidenti allo sviluppo delle reti wireless, né sotto il profilo tecnologico né sotto il profilo normativo. Naturalmente solo la prassi applicativa e i futuri sviluppi ci potranno dire se la mia è solo una sensazione oppure una certezza. Cordialmente
Guido Villa
www.lidis.it
Caro Villa, ho letto con molto interesse l’analisi approfondita che lei ha fatto sul recente decreto Landolfi.
Leggendo il mio articolo non le è sicuramente sfuggito (lo dico in ben 3 punti) che considero questo decreto una cosa positiva; ovviamente qualunque cosa aumenti concorrenza e possibilità di scelta è positiva anche per i consumatori.
Lungi da me voler far polemica, specialmente con una persona che appartiene a ben due categorie che rispetto molto (ISP e RM) ma i “cittadini” non sono “consumatori”. Od almeno, quando parlo di libertà di scelta, non intendo “tra i prodotti offerti” ma di libertà e diritto individuale alla comunicazione.
Le ribadisco: in questo senso nulla è cambiato. Apparecchiature omologate per uso privato non possono quindi essere usate su suolo pubblico (come se le onde radio sapessero che si devono fermare alle finestre) e privati cittadini non possono usare apparecchiature legittime in loro possesso per comunicare tra loro in pubblico.
Ci si muove, a livello legislativo (ipotizzando la totale buonafede) come se fossimo appunto a 30-40 anni fa, e la libertà di comunicazione fosse stare con il microfono del baracchino in mano senza dover tendere l’orecchio alla porta, casomai l’Escopost bussasse.
Nel frattempo pero’ la comunicazione è diventata digitale e materialmente alla portata di tutti i cittadini. In Italia è completamente vietata (e non lo è in altri paesi) se realizzata via wireless.
Capisco perfettamente che la suo obiezione è “non tutti possono diventare fornitori di servizi per la comunicazione”. La mia domanda a questo punto è “Perchè no ?”
Tecnicamente è facile, filosoficamente è molto positivo, rappresenta un empowerment per tutti i cittadini. Perchè no ?
La mia opinione è” perchè il legislatore italiano non considera l’esercizio delle libertà dei cittadini in sé come un bene da difendere in assoluto, ma solo da permettere in aree precise.”
Quindi qualsiasi cosa nuova è automaticamente vietata, e, questo esempio insegna, limitata ad eventuali trattative tra lo stato e le lobby.
Non me ne voglia per aver ribadito che l’azione della sua categoria è stata una azione di lobby; fare lobby è un diritto riconosciuto, e questa azione in particolare avrà sicuramente ricadute positive anche per le persone in generale.
Ma le libertà civili sono ben altra cosa.
Ringrazio lei e PI per la possibilità di un confronto così interessante.
Un saluto
Marco Calamari
Progetto Winston Smith