Roma – Punto Informatico ha messo online un servizio video nel quale, partendo dai miei commenti sulle reti WiFi pubbliche, sviluppa il tema e ne offre una sua interpretazione: Il Wi-Fi in città? Non serve .
Innanzi tutto mi fa piacere che su questa mia riflessione Punto Informatico abbia voluto costruire un bel servizio, tra l’altro video e ben montato.
Devo dire che non condivido il modo nel quale il servizio viene chiuso. Di fatto si contrappone la mia visione di “tecnico” con quella di carattere più sociologico e politico, se vogliamo, di Sergio Maistrello. Si dice, nella sostanza, che da un punto di vista tecnico le reti WiFi potrebbero anche non funzionare gran che bene; tuttavia, svolgono un ruolo sociale e culturale importante e hanno un connotato che quelle cellulari commerciali non possono avere.
Inoltre, si dice che la rete cellulare costa troppo. Su questo tema avevo già risposto sul mio blog, in primo luogo segnalando che di gratis a sto mondo non c’è nulla. Dipende da chi paga, ovviamente. In secondo luogo, i prezzi sono in discesa. In terzo luogo, per una PA è più conveniente spendere X per avere una rete WiFi oppure lo stesso X per pagare l’accesso a 3G via gli operatori esistenti? È tutto da vedere.
In generale, mi pare che in questi ragionamenti ci sia un baco di fondo. Avevo scritto un post su Pensieri a questo proposito. Dicevo che spesso si confonde il mezzo con il fine . Io condivido il fine, ma trovo che il mezzo sia carente. Né ha senso caratterizzare un mezzo rispetto ad un altro dicendo che è “culturalmente migliore”. Non mi pare che le reti WiFi siano “intrinsecamente” sociali e aperte, mentre le altre no. Dipende da come le si usa, da come si fanno gli accordi con gli operatori, da come si gestisce l’intera vicenda. Anche nel caso di WiFi bisogna definire accordi commerciali, regole di accesso, “questioni tecnico-economiche”. Non è che nascano sociali per investitura dall’alto.
Penso che questo sia uno dei limiti nelle discussioni su questi temi. Si confondono fini e mezzi. Si associano a certi mezzi caratteristiche e proprietà che in realtà non hanno o non hanno in modo esclusivo.
Credo dovremmo essere più “laici”. Certo definire fini e obiettivi in modo serio e lungimirante. Ma poi si deve fare una analisi pragmatica per scegliere di volta in volta la soluzione che è maggiormente funzionale al raggiungimento di quei fini e obiettivi. Altrimenti, si rischia di vanificare sforzi o di doverli moltiplicare, senza ottenere quei risultati che tutti ci aspetteremmo.
(*) A.F. è docente del Politecnico di Milano e CEO e Direttore scientifico del CEFRIEL