La vicenda della presunta violenza sessuale imputata a Julian Assange scoppiata durante il fine settimana, già rientrata lunedì , è ormai derubricabile a un mero fatto di gossip . Il suo passaggio sui tabloid svedesi, e ora su quelli anglosassoni, arricchisce di giorno in giorno la faccenda di particolari pruriginosi: che il tutto si riduca alla semplice ripicca di un’amante (o due) respinta o delusa è ormai una circostanza piuttosto concreta, ma ciò non toglie che nel corso di questi giorni l’attenzione si sia sempre più spostata da Wikileaks, e dalla sua funzione come strumento di diffusione di informazioni, a una curiosità morbosa nei confronti del suo portavoce e quanto ruota attorno all’iniziativa.
L’esempio più concreto di questa particolare “attenzione” riguarda in particolare la vita privata di Assange , le sue preferenze sessuali, nonché le fonti di finanziamento ( da sempre piuttosto precarie ) di Wikileaks. Come detto, la prima parte di questi approfondimenti rimane relegata ai tabloid, ansiosi di spolpare una faccenda che si fa sempre più grottesca: particolari sulla vita intima di un personaggio sulla bocca di tutti sono da sempre pane quotidiano per questo tipo di testate, e visto che di mezzo ci sono sangue e morte (quelli della guerra in Afghanistan e Iraq), nonché una bella dose di sesso con due giovani svedesi e un’australiano dai capelli imbiancati anzitempo, il tutto diventa particolarmente succulento.
Più complessa e particolareggiata è la questione dei finanziamenti . A inizio settimana, con un tempismo davvero incredibile, il Wall Street Journal (che da tempo si interessa con crescente ostilità alle attività di Assange e soci) si è lanciato in una ricostruzione giornalistica dei frammenti di informazione disseminati qua e là nelle interviste agli attivisti del sito. Si scopre così che Wikileaks ha inscatolato, con un complesso meccanismo, le proprie attività sotto un paravento di società che fungono da specchio per le allodole, con il solo obiettivo di mascherare il più possibile il percorso che i fondi che le sono concessi compiono dai finanziatori (che auspicano il più delle volte, ma non sempre , di rimanere anonimi) ai fornitori del sito (che probabilmente non gradirebbero far sapere a tutti di ospitare una piattaforma tanto controversa sui propri server).
Tanto più che, si viene a sapere, Wikileaks costa 200mila dollari l’anno: un’inezia , considerato il tipo di connettività che richiede tenere in piedi un servizio di questo tipo, e che alle attività di pubblicazione lavorano (in pratica gratuitamente) cinque persone. L’associazione che fa da facciata per i finanziamenti, poi, è intitolata a Wau Holland : un hacker tedesco, conosciuto tra l’altro per aver contribuito a fondare Chaos Computer Club (CCC) e per aver preso parte a una delle prime azioni di cracking a fin di bene della storia di Internet (si fecero consegnare circa 100mila marchi da una banca della Germania Ovest, che restituirono il giorno seguente, spingendo la banca a potenziare la propria sicurezza nelle transazioni telefoniche), e deceduto nel 2001. Un personaggio dall’etica hacker indiscutibile.
In definitiva, gli attacchi portati a Wikileaks in questi giorni falliscono il bersaglio in maniera clamorosa. Tentano, come nella migliore tradizione dallo Scandalo Profumo in giù, di colpire il leader riconosciuto dell’iniziativa, e portabandiera della filosofia di apertura tipica di Internet, nella sfera del sesso: ma Julian Assange non è Wikileaks , e sebbene vi venga spesso accomunato non è artefice dei contenuti pubblicati dal sito ma solo suo portavoce. Quanto al denaro, l’inchiesta del WSJ ha semmai dimostrato che per motivi fiscali Wikileaks è comunque tenuta a giustificare con scontrini e fatture alla mano ogni singolo centesimo che esce dalle sue casse: e considerato che i suoi “dipendenti” (volontari) non vivono di Wikileaks, ma si devono arrangiare con altro, è semmai un punto a favore della trasparenza dell’iniziativa.
Quello che non è stato colto è la portata dell’idea alla base di Wikileaks. Che ci sia o meno la CIA o il Pentagono dietro una coppia di donne che si reca a un commissariato a denunciare le molestie di Assange ai loro danni, con un procuratore che spicca un mandato d’arresto e comunica ai media che Assange stesso è ricercato ( procedura insolita per la Giustizia italiana, inconcepibile in Svezia), poi lo ritira, poi si scopre che si tratta solo di molestie e che al più le donne si lamentano del comportamento poco gentile di Assange, poco conta rispetto al valore dei documenti pubblicati dal sito. Sono dati, cablogrammi, telegrammi, dispacci che vengono offerti nudi e crudi alla comunità dei lettori, per essere appunto letti , decodificati e giudicati nel loro complesso da ogni singolo cittadino.
Wikileaks è la trasposizione nella realtà dell’ idea che era alla base di Arpanet e poi di Internet : una rete dove far fluire informazioni senza interruzioni, senza che nessun intervento esterno (una guerra nucleare o un governo recalcitrante) possa fermarle. I ricercatori universitari che ereditarono la Rete dalla Difesa USA iniziarono a impiegarla per scambiarsi le informazioni utili ai loro studi, i navigatori che iniziarono a usarla negli anni ’90 la impiegarono da subito per condividere risorse relative alle loro passioni e ai loro interessi, oggi Internet viene usata per produrre ricchezza e ancora e per fortuna anche per diffondere sapere, cultura, dati che è bene siano realmente alla portata di tutti .
Se pure Julian Assange si rivelasse un uomo con qualche problema di relazione con l’altro sesso, ciò non cambierà una virgola del valore delle informazioni pubblicate da Wikileaks: perché si tratta di dati puri, non “inquinati” dall’opinione o dalla manipolazione (pur in buona fede) di tipo giornalistico. Quelle pubblicate da Wikileaks sono semmai le informazioni che un tempo erano materiale scovato , con perizia e fortuna, da un genere di reporter che oggi tende all’estinzione: i reporter che investigano, quelli da film di Hollywood, quelli che la storia la scovano, la spolpano, la trasformano da un nuce di un sussurro a un pezzo da titolo a tutta pagina , prima pagina, e Premio Pulitzer.
Quanto al resto, sarebbe interessante scoprire con altrettanta dovizia di particolare da dove vengano i fondi che finanziano startup piccole e grandi che animano il panorama del web attuale. Sia chiaro, non c’è alcun motivo di sospettare che i servizi che si utilizzano giorno per giorno per mettersi in contatto con i proprio amici, o condividere con i conoscenti le proprie foto, siano “macchiati” da denaro di dubbia provenienza: ma, poiché chi finanzia Wikileaks non fa altro che garantire la sopravvivenza di una piattaforma neutrale per la pubblicazione di materiale che difficilmente sopravviverebbe altrove, ci sarebbe da chiedersi che interesse potrebbe avere nel farlo (tanto più che, un uomo o una donna potente, ha tutto da perderci dalla esistenza di un luogo dove i suoi segreti potrebbero venire rivelati un giorno).
Wikileaks non è il demonio: come detto in molte altre occasioni, è solo uno strumento tecnologico, e come tale è innocuo a meno che non si decida di farne un uso sconsiderato. Se, tuttavia, le informazioni che pubblica sono un problema, è perché quelle informazioni esistono: l’unica differenza, rispetto al passato, è che oggi possono essere lette e consultate da molte più persone di quante potessero un tempo. Più che discutere di Assange e dei soldi di Wikileaks, forse varrebbe la pena che gli autorevoli osservatori si concentrassero a ragionare su quanto pubblicato o in via di pubblicazione da Wikileaks: è quella la novità, quelle le informazioni che altrimenti non potrebbero essere discusse. Il mondo potrebbe tranquillamente fare a meno di Assange, ma forse oggi non potrebbe più fare a meno di Wikileaks .
Luca Annunziata