Cablegate , come se ne parla negli States, o “l’undici settembre della diplomazia”, come le ha definite Frattini, le attese pubblicazioni di Wikileaks (per il momento, per altro, solo una parte dei 250 mila segreti totali preannunciati ) hanno guadagnato la copertina del tedesco Der Spiegel , cinque pagine di approfondimento sul New York Times e le prime pagine di praticamente tutti i giornali del mondo. Spaccando le opinioni tra chi ritiene quello degli attivisti di Wikileaks un atto di libertà, chi parla invece apertamente di terrorismo da parte di malvagi cracker, e chi vorrebbe tutto ridotto a mero gossip.
Wikileaks ha colpito numerosi governi, non limitandosi a quelli occidentali (anche se restano alcuni osservatori che vedono il sito eterodiretto da una mano oscura e orientale opposta ai governi democratici: Al Qaida o qualche altro asso del male). Certo, essendo documenti riservati della diplomazia statunitense colpita è principalmente Washington e la sua rete di relazioni internazionali: alla fine scottata è l’amministrazione di Obama che viene definita, in conseguenza di tutto ciò, dallo stesso Assange come “un regime contro la libertà di stampa”.
Fra gli scoop più inquietanti una direttiva classificata spedita nel luglio 2009 da Hillary Clinton a 30 ambasciate con cui chiedeva a nome del Dipartimento di Stato Usa dati personali sui vertici delle Nazioni Unite, comprese le password usate, le chiavi in codice usate per comunicare e anche i dati biometrici .
Eppure fra gli offesi anche organismi non occidentali come i Talebani (che preventivamente hanno avvertito che processeranno eventuali fonti identificate negli scottanti documenti), il Governo libico, e quello iraniano di cui viene svelato, per esempio, un tentativo di assassinare nel gennaio 2010 un presentatore televisivo irano-americano residente a Londra.
Fra i segreti svelati anche la conferma che dietro l’intrusione nei sistemi informatici di Google in Cina c’era, come ipotizzato da Mountain View fin dall’inizio, Pechino. Allo stesso modo il Governo cinese si sarebbe infiltrato a partire nel 2002 nei sistemi informatici statunitensi, del Dalai Lama e di altre aziende americane.
Per l’Italia escono fuori commenti duri dai diplomatici USA. Il ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini, ha iniziato riferendo sulla vicenda che si tratta di “strategie dirette a colpire l’immagine dell’Italia sulla scena internazionale”, e ha finito per dire che Assange “vuole distruggere il mondo”, esortando “la comunità internazionale a reagire compatta senza commentare e senza retrocedere sul metodo della diplomazia, senza lasciarsi andare a crisi di fiducia, che se diventa sfiducia reciproca può bloccare collaborazioni fondamentali per risolvere grandi situazioni di crisi”.
Eppure la questione è ben più ampia, dal momento che più dei segreti svelati, a far male è stata la paura che l’annuncio di Julian Assange ha ingenerato : a poche ore dall’orario prefissato per la divulgazione dei documenti il sito (già oggetto di un numero sfidante di contatti) si è trovato sotto attacco Denial of Service ed è andato down per qualche ora . Questo, per altro, non bloccava il suo scopo: documenti erano già stati inviati ad alcuni dei principali quotidiani internazionali ( The Guardian , che ha messo su un interessante Database , Der Spiegel , Le Monde e El Pais ) che si erano già attivati per pubblicare le scottanti rivelazioni.
Una paura che, peraltro, non ha sconvolto la popolazione come nel caso del terrorismo, bensì i governanti colpiti nel loro nucleo di privacy e segretezza che proprio nella diplomazia ha sempre avuto la sua maggiore esemplificazione. Tanto che, per esempio, paesi attenti al controllo dell’informazione come la Cina protrebbero temere che anche solo l’eco delle divulgazioni di Wikileaks possa spingere i suoi cittadini a farsi domande pericolose; l’Australia ha detto di star pensando se avviare procedure penali nei confronti dei responsabili delle divulgazioni (Assange ha passaporto aussie ); Washington, invece, continua a condannare l’operato del sito, in quanto metterebbe in pericolo le vite dei diplomatici: il presidente dell’ House Homeland Security Committee , Peter King, ha chiesto anche che Wikileaks fosse identificata ufficialmente come “organizzazione terroristica” e di “processare Assange per spionaggio”.
Come ha detto William Gibson, in un discorso quanto mai lungimirante, si tratta di nuovi mezzi contrapposti a modi tradizionali di gestione del potere: “le verità potranno essere già rivelate o essere destinate a venire alla luce prima o poi. È qualcosa che vorrei sottoporre all’attenzione di ogni uomo di stato, leader politico e dirigente d’azienda: il futuro, alla fine, vi porterà allo scoperto. Non riuscirete a mantenere i vostri segreti. Il futuro, maneggiando strumenti di trasparenza inimmaginabili, l’avrà vinta su di voi. Alla fine, quello che avrete fatto sarà sotto gli occhi di tutti”.
Claudio Tamburrino