Telecom Italia, H3G, Tiscali, Ericsson, FederUtility, Rai Way, Poste Italiane, Associazione AIIP, Brennercom, AEMCom, Teleunit e Infracom sono – secondo il blog WiMax Italia – le 12 entità interessate alle licenze WiMax previste dal regolamento AGCOM . Ma in queste ore emerge il dato che gli italiani altrettanto interessati alle frequenze radio previste per il WiMax sono molti di più: 90.000, e crescono al ritmo di circa 500 nuove firme all’ora, da una settimana.
I firmatari della petizione , di cui PI Telefonia ebbe occasione di parlare lo scorso febbraio , chiedono che il nostro paese si allinei alle risultanze scientifiche, ai pareri degli esperti di ISOC Italia, alle indicazioni della Commissione Europea, garantendo un terzo di frequenze per un uso aperto (open spectrum) ovvero il metodo più flessibile tra i modelli di gestione conosciuti.
In rete è partito il tam-tam, i blog che invitano a firmare la petizione si moltiplicano di ora in ora e ogni blog in più a parlarne è un contributo sostanziale alla riuscita di un imponente esempio di impegno civile: i net-citizen sembrano sempre di più voler relegare i politici al ruolo di meri esecutori della volontà popolare – questo è Governance – ruolo limitativo per chi fino ad oggi è stato invece abituato ad agire attivamente sull’opinione pubblica attraverso i media mainstream ( Government ). In questi giorni abbiamo rivolto alcune domande ai protagonisti della vicenda, iniziando proprio da Andrea Rodriguez .
Punto Informatico: Non le sembra strano che la petizione di un programmatore genovese, senza nulla togliere alla sua professione, sia più conforme alle rilevanze scientifiche, economiche, e sociali, espresse dalla comunità accademica globale, da ISOC, dalla Commissione Europea, etc. di quanto non siano le scelte di fin qui compiute da AGCOM?
Andrea Rodriguez: Lo prendo come un complimento ma non ho assolutamente la velleità di confrontarmi né paragonarmi con le persone che cita; le mie considerazioni che hanno portato alla nascita della petizione online derivano unicamente da una riflessione personale forse solo un po’ più profonda, per via del mio background tecnico, rispetto a quella che potrebbero avere altri. Naturalmente prima di scrivere qualsiasi cosa mi sono documentato con i documenti della UE e con tutto quanto ci fosse di reperibile sull’argomento, tecnico e non; mi sembra che i documenti della Comunità Europea siano chiarissimi, sono le interpretazioni – come sempre – che differiscono fra loro a volte in modo sostanziale… e in Italia siamo maestri a stravolgere tutto a nostro uso e consumo!
PI: Visto che il Ministro Gentiloni ha la facoltà di cambiare il pessimo regolamento AGCOM cosa si aspetta ora, per se e per gli oltre 90.000 firmatari, dal Governo e in particolar modo dal Ministero delle Comunicazioni?
AR: Sono fondamentalmente realista; mi aspetto che il Ministero prenda atto della volontà degli 90.000 e più firmatari (speriamo salgano ancora) e ne tenga conto, se non per la norma che regolerà le imminenti gare, per le successive assegnazioni.
PI: In che modo?
AR: Il regolamento AgCom, tecnicamente molto dettagliato a mio avviso é orientato al mercato ma solo a quello e in modo subottimale; ho trovato abbastanza spiacevole constatare che, dopo tanto parlare di digital divide e di strategie e scopi nazionali per ridurlo, le sole soluzioni che i nostri stessi organismi e governanti sanno partorire siano orientate unicamente al business ed in particolare ad uno dei mercati tradizionalmente più chiusi del Paese, quello TLC. Ci stiamo comunque muovendo per legittimare appieno le firme elettroniche, visto che anche il CNIPA si é ultimamente espresso favorevolmente sull’autenticità ottenibile da una firma elettronica quale l’email; sebbene lo scopo principale dei nostri sforzi sia informare l’opinione pubblica e sensibilizzare il Ministero, non é detto che non si andrà a percorrere anche una strada “legale”; ma al momento si tratta di un’ipotesi.
La parola alla maggioranza
Un ruolo fondamentale spetta come sempre alla politica e tra le poche posizioni in materia c’è quel documento – già segnalato su queste pagine – presentato il 5 aprile scorso da DS e Margherita. Così abbiamo parlato con uno dei suoi promotori: Paolino Madotto , responsabile nazionale Innovazione dei DS.
PI: Il documento da lei promosso colpisce perché, nel panorama politico italiano spesso lontano dalle questioni dell’innovazione, un documento che ne parla in questo modo sembra quasi fuori posto: c’è forse una qualche apertura all’orizzonte?
Paolino Madotto: Con quel documento abbiamo cercato di creare un percorso per arrivare alle indicazioni della Commissione Europea, che chiede con forza l’apertura ad altri sistemi di gestione dello spettro radio. Iniziare a farlo ora significa cogliere le novità e i trend sul nascere piuttosto che, come al solito, buoni ultimi. Non si può arrivare per ultimi e pretendere di fare innovazione; amministrare diversamente il WiMax non è solo questione di dare banda alle persone ma di fare una politica industriale per il Paese, spostare l’interesse e l’attenzione dalla mera rendita delle bollette a quello che è lo sviluppo di servizi, tecnologia e ricerca, lavoro.
PI: In che modo?
PM: Ad esempio in Italia abbiamo un’ottima capacità di produrre algoritmi di compressione dati e sistemi radio per applicazioni spaziali e militari, perché non creare le condizioni per metterle a frutto nella ricerca e sviluppo delle tecnologie wireless? Andare oltre il sistema di assegnazione delle frequenze concepito alla fine degli anni ’20 (quando le radio erano a galena) significa, tra le altre cose, spalancare le porte allo sviluppo della cultura delle trasmissioni radio digitali, creare interesse e quindi business ad alto valore aggiunto in questo Paese ed esportarlo invece di comprare proprietà intellettuale all’estero. Significa attirare investirori che vogliano fare ricerca e sviluppo nel nostro Paese.
PI: Quali sono in concreto i punti che dovrebbero essere inseriti nel bando del WiMax dal Ministero o con cui andrebbe emendato?
PM: È necessario ridurre il periodo di concessione a 5 anni anziché 15 rinnovabili; con licenze più brevi l’operatore è incentivato a costruire velocemente l’infrastruttura per sfruttarla economicamente.
Il WiMax ha dei costi neanche lontanamente paragonabili al GSM/UMTS (ndr: una radio WiMax costa 50 euro, un ponte radio WiMax 300 euro) e quindi ridurre la durata a 5 anni mi sembra praticabile. L’esperienza dell’UMTS ci deve insegnare che gli operatori già posizionati nel mercato non hanno interesse a fare nuovi investimenti che “cannibalizzano” l’infrastruttura esistente. L’unico operatore che ha investito con decisione nell’UMTS è stato H3G, che oggi ha servizi innovativi e prezzi in grado di fare una concorrenza agguerrita.
Il WiMax è una tecnologa che evolve a ritmi serrati (si parla di 1Gb/secondo già nel 2009 e il mobile è già alla nostra portata), gli operatori avrebbero interesse a prendersela comoda facendo il minimo per vedere come evolvono le cose, i cittadini non posso aspettare oltre.
Il secondo punto è l’assegnazione delle frequenze in base al progetto e non solo all’offerta più alta: così sarà un gara più impegnativa da gestire, ma si seleziona il progetto più innovativo e utile al paese.
Il terzo è che deve esserci controllo sull’operato dei concessionari, è necessario che vi sia un ente, con competenze tecniche e strumenti adeguati, in grado di supportare l’AGCOM a verificare il rispetto dei progetti presentati durante la gara; ad esempio abbiamo l’Istituto Superiore delle Comunicazioni.
PI: Che ne dice della petizione WiMax Libero?
PM: A livello personale sono d’accordo sull’impianto fondamentale dell’open spectrum, condivido la petizione e l’ho sottoscritta. È un modello che ha la sua validità non solo per il non profit; la Comunità Europea parla chiaro.
Il dibattito intorno al tema dell’Open Spectrum non è più chiuso tra un gruppo di hacker, è un tema che le autorità regolatorie in molti paesi stanno per avviare o hanno avviato. Il WiFi ha aperto la strada ad un modello più libero di gestione. È ovvio che è necessario un percorso per arrivarci, queste cose non si affrontano con l’approccio si/no. È necessario aprire una discussione su questi modelli sia sul piano tecnico che su quello giuridico per arrivare prima degli altri Paesi che lo stanno facendo. All’interno del nostro partito è già in corso da qualche tempo una discussione positiva.
La parola al popolo
Nelle scorse settimane abbiamo avuto la possibilità di rivolgere più o meno la stessa domanda al capo della Segreteria del ministero TLC e al sottosegretario Magnolfi ed entrambi si sono detti particolarmente sicuri che non siano previste modifiche alla strada intrapresa dall’Autorità TLC. In ogni caso nelle retrovie del Partito Democratico esistono altre idee che sembrano comunque sollecitare il Ministero per veder apportare per lo meno misure di contenimento del danno.
E l’utente cosa può fare se intende sostenere l’Open Spectrum? Può firmare la petizione e passare parola, come stanno facendo altri 90.000 italiani, un comico genovese, un programmatore genovese, il Partito Pirata e Generazione Attiva; tutte “entità” che dall’open spectrum non guadagnerebbero nulla.
La petizione vola verso quota 100K, e considerando che si parla di un argomento ben più complesso del semplice slogan “meno tasse per tutti”; riguarda un oggetto che ancora non esiste, non di un cellulare, e una percezione che possono aver acquisito soltanto quelli che hanno l’always-on da qualche tempo. La connetività nomadica, il One Network, l’abbattimento della barriera dell’ultimo miglio unico, la neutralità della rete mobile, si celano dietro questa petizione; riguarda queste frequenze così come di tutte le frequenze che verranno rilasciate nei tempi a venire.
È auspicabile che oggi se ne ne parli a Milano durante il convegno “Condividi la Conoscenza 3” di venerdì 22 giugno, mentre se ne parlerà anche al VlogCamp di Roma il giorno successivo.
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