WiMax, l'Italia lo sta depotenziando

WiMax, l'Italia lo sta depotenziando

Esperto di tecnologia e wireless, Michele Favara Pedarsi fa luce sui pericoli della dilagante ignoranza delle caratteristiche e delle potenzialità del WiMax. E spiega perché quanto accade oggi è frustrante
Esperto di tecnologia e wireless, Michele Favara Pedarsi fa luce sui pericoli della dilagante ignoranza delle caratteristiche e delle potenzialità del WiMax. E spiega perché quanto accade oggi è frustrante

Roma – Caro PI, osservo con sgomento la vicenda del WiMax e come ho già fatto in passato affido a te le mie riflessioni del caso.

Per capire perché sono esterrefatto devo prima di tutto specificare brevemente cosa sia il WiMax. Il WiMax è il nome commerciale dato ad un set di protocolli identificati dalla specifica IEEE 802.16 che consentono di trasferire dati via radio con tecniche altamente innovative. Al contrario del suo fratellino WiFi, ingegnerizzato per offrire connettività locale e che si ferma al primo ostacolo fisico che incontra, il WiMax è stato dotato della capacità di superare gli ostacoli materiali perché pensato esplicitamente per un uso geografico.

In base alla variante di 802.16 le radio WiMax utilizzano canali da 1.75, 5, 10 o 20Mhz; nel caso dei canali da 20MHz la quantità di dati raw – quantità che include la banda di servizio, non utilizzata cioè per trasportare i dati dell’utente – è di 70mbit/s. L’altro elemento che devo ricordare per poter spiegare la mia frustrazione è che le frequenze che verranno messe a disposizione a giugno sono sì poco pregiate perché non consentono l’uso NLOS – not line of sight, la capacità di superare gli ostacoli – che in teoria sarebbe la peculiarità più importante del WiMax, ma sono anche in quantità esigua! Si tratta infatti di soli 70Mhz. Troppo pochi per abbattere il digital divide seguendo l’approccio tradizionale che pone intuitivamente l’enfasi sulla scarsità della risorsa naturale (lo spettro radio).

La tecnica tradizionale infatti suddivide il territorio in celle – es: esagonali o ottagonali – che al loro interno utilizzano una frequenza diversa da quella impiegata in tutte le celle adiacenti. Questo è necessario per evitare che ai bordi delle celle ci sia interferenza tra i ripetitori radio che servono celle adiacenti. Le reti degli operatori GSM/UMTS sono strutturate in questo modo.

Se consideriamo dunque le possibilità di canalizzazione del WiMax, l’approccio tradizionale improntato alla licenza individuale e la suddivisione in celle, e la quantità di frequenze che verranno messe a disposizione, è facile rendersi conto che questo non è il modo più profittevole di impiegare quelle frequenze.

Essendo infatti di 1,75Mhz il canale più piccolo utilizzabile, ogni licenza individuale dovrebbe essere di almeno 10,5Mhz per consentire all’operatore concessionario di realizzare delle celle esagonali in cui vengono impiegati 1.75Mhz dei 10,5 che ha a disposizione (2mbit/s condivisi tra tutti gli utilizzatori attivi contemporaneamente nella cella). Questo implica che con 70Mhz è possibile confezionare, cercando di massimizzare la pluralità, al massimo 7 licenze. Poche per poter parlare di competizione; e poche prestazioni per poter parlare di abbattimento del digital divide.

Se a questo ci aggiungiamo che gli operatori già titolari di reti sotterranee o aeree potrebbero voler estendere la propria attività anche al WiMax, quelle 7 licenze appaiono ancora più insufficienti. Ancora di più se consideriamo che le eventuali dorsali, come accade nelle reti cellulari, devono essere realizzate via cavo visto che le frequenze radio sono impiegate tutte per la distribuzione agli utenti; e questo implica che gli operatori che utilizzeranno quelle frequenze saranno comunque dipendenti da Telecom Italia.

Qualcuno a questo punto sul fronte della pluralità potrebbe pensare: basta dare le licenze su base regionale piuttosto che nazionale! Sbagliato. Il risultato sarebbe quello di creare degli oligopoli delle frequenze su base regionale piuttosto che nazionale.

Ad esempio sappiamo già che, cartello occulto o meno, con 4 operatori di telefonia mobile il costo degli sms si è livellato su una cifra decisamente esagerata. Non credo che il numero 7 faccia la differenza. Qualcun altro sul fronte invece delle prestazioni potrebbe pensare: se facciamo celle più piccole – ie: riduciamo la dimensione degli esagoni – il numero degli utilizzatori per cella si riduce rendendo più appetibili quei 2mbit/s. Corretto. Ma io voglio invitare chi ha pensato questo ad estrapolare il ragionamento, ovvero a ridurre le celle esagonali fino al punto in cui ogni singolo utilizzatore possa avere 2mbit/s di troughput tutti per se, cosa ottenete? Celle puntiformi, ovvero un apparato radio su ogni tetto.

Non so gli altri italiani che ne pensano, ma io preferirei essere pagato per mettere un’antenna sul mio tetto. Gli operatori però non intendono posizionare antenne sui tetti per pagare gli utenti; casomai il contrario.

Come tu ben sai, caro PI, io non sono un disfattista; se mi sento frustrato è perché conosco una via più profittevole ma sono impotente davanti ad una politica che mi vuole appioppare a forza la sua soluzione che tutto considera tranne che la fisica, la tecnica e il pubblico interesse.

L’alternativa si chiama Open Spectrum ed è possibile farsene un’idea sul sito wirelesscommons.org . Da notare che il manifesto Wireless Commons è stato sottoscritto non solo da Lawrence Lessig, praticamente onnipresente quando si parla di “commons”, ma anche da David P. Reed: tra gli autori del tcp, dell’udp e luminare che ha dato il nome alla legge di cui ti ho parlato lo scorso settembre.

Costui nel 2002 andava davanti al potente FCC a dire che per ottenere sviluppo gratuito della società era sufficiente lasciare una porzione delle risorse radio al libero uso.

Tanto per dare un’idea grossolana dello sviluppo a cui dovremo rinunciare se verranno emesse delle licenze individuali, ti invio quello che scrissi in tema di efficienza spettrale all’Ing. Dino Bortolotto, vice-presidente Assoprovider, nel forum di ISOC Italia :

“nel caso dell’open spectrum, gestione unitaria dello spettro e rete dati unica su tutte le frequenze disponibili, il numero degli operatori possibili è infinito e quando si aumenta la frequenza a disposizione si aumentano le prestazioni generali del network. Sempre nel caso specifico invece di esserci 2mbit per ponte radio (quindi su ogni tetto), in regime open spectrum ce ne sarebbero circa 30 meno un 15% di overhead introdotto da un protocollo particolare; e basta raddoppiare la radio negli apparati per arrivare a circa 100. Il che significa che si possono fare circa 40 licenze da 2mbit o 7 licenze da 10 mbit”.

Questo sarebbe il modo più profittevole di utilizzare un bene pubblico: condividere lo spettro per privatizzare la banda utile. Ce lo dice David P. Reed, luminare della Teoria delle Reti, con il suo approccio Open Spectrum; ce lo dice Stefano Quintarelli, business man che ha avuto i suoi più grandi successi proprio nelle TLC, quando parla di One Network e bistream access; ce lo dice Beppe Caravita, quando parla di giochi a guadagno convidiviso; te l’ho detto io quando ho parlato di rete wireless peer-to-peer; e ce lo ha detto il programma elettorale dell’Ulivo quando parlava di una visione unitaria, libera e indipendente delle TLC.

Ma tutto questo per gli uomini oggi al governo sembra non essere importante. Per questo sono frustrato e ho cominciato ad inviare curriculum vitae all’estero.

Saluti
Michele Favara Pedarsi

Link copiato negli appunti

Ti potrebbe interessare

Pubblicato il
19 feb 2007
Link copiato negli appunti