La tortura è ammissibile all’interno dei mondi virtuali? Richard Bartle, esperto di videogiochi ed autore di diversi MUD di successo, non se l’era mai chiesto prima. Ma quando ha cominciato a giocare Wrath of the Lich King, l’ultima espansione di World of Warcraft, ha scoperto che per completare una delle missioni era richiesto di seviziare e torturare un prigioniero. E allora ha provato a porre la domanda sul suo blog , suscitando reazioni piuttosto animate tra giocatori ed addetti ai lavori.
Il punto di Bartle, ripreso anche da Boing Boing , è semplice. Coloro che partecipano a WoW, spiega, danno per scontato che violenza, furti e omicidi facciano parte del gioco, per cui non si stupiscono o scandalizzano davanti ad una battaglia o una morte violenta. Ma, per converso, non si aspettano di essere costretti a torturare delle persone per avanzare nel gioco. Per cui l’introduzione di pratiche di questo tipo, non stigmatizzate e premiate con il leveling, configurerebbe una rottura del “patto tacito” tra designer e gamer,
Nel suo post, Bartle dice testualmente: “Ho dovuto attendere fino alla seconda espansione per rendermi conto che dentro WoW erano previsti momenti di tortura fine a se stessa. E questo non rientra nei parametri di ciò che mi aspettavo. È come leggere il nuovo episodio di Harry Potter e scoprire che Harry fa uso di droghe e si serve dei propri poteri magici per accecare le persone. È ovvio che l’autore ha tutto il diritto di mettere quel genere di cose nel suo libro, ma in quel modo manda in frantumi le tue aspettative”.
Le prese di posizione di Bartle hanno suscitato un ampio dibattito, spesso apertamente polemico, nella parte di blogosfera interessata ai videogame. Molte le critiche. Alcuni hanno attaccato l’autore perché le sue affermazioni non sarebbero veritiere a livello di meccanica di gioco – non sarebbe vero che il completamento della missione incriminata è ineludibile per l’avanzamento in gioco. Altri gli hanno fatto notare che WoW è solo un gioco, e che non è quindi necessario scomodare mozioni idealistiche contro quelle anti-tortura.
Ma anche a fronte di tali argomenti, il punto di fondo posto da Bartle resta. È pensabile rompere il “patto tacito” tra progettisti e giocatori con situazioni disumane, in grado di scioccare e sconvolgere diversi tra i giocatori? O, detto in altri termini, è giusto promuovere tortura e sevizia dentro i mondi finzionali?
Giovanni Arata