Ci sono voluti cinque anni, sei versioni della motherboard e diverse revisioni generali all’hardware, per raggiungere l’equilibrio perfetto, ma alla fine Microsoft sembra averla spuntata davvero: l’ultima versione dell’Xbox 360 è un orologio che non perde più colpi.
Dall’estate del 2008 era già arrivata in commercio la revisione Jasper della console con CPU e GPU da 65 nanometri, che aveva limato i consumi energetici, aggirando parzialmente il noto problema del “Red Ring of Death”. Una mossa certamente apprezzata, considerato che fino a quel momento Microsoft si era limitata ad estendere la garanzia per placare gli animi.
Anche se è risaputo che un calore eccessivo provoca la dissaldatura di componenti vitali nelle vecchie versioni della console, in tutto questo tempo l’azienda di Redmond non ha mai voluto divulgare dati certi sul difetto. Ora, di contro, sceglie di rivelare al mondo perché la nuova 360 Slim non verrà assolutamente contagiata da questa odiosa “patologia”.
Al centro della Slim c’è un unico chip da 45 nm e 372 milioni di transistor, sviluppato insieme a IBM, che stavolta integra microprocessore (a tre core con frequenza di 3,2 GHz) e processore grafico (con frequenza di 500 MHz) nello stesso die. Per lavorare, il chip unico usa circa il 60 per cento di potenza in meno rispetto ai modelli dell’Xbox con doppio processore. Grazie a questa fantascientifica fusione, affiancata da 10 megabyte di memoria embedded, i consumi totali sono scesi al 40 per cento, la console è molto più piccola (nonostante l’antenna WiFi integrata) e molto meno rumorosa perché, adesso, basta una sola ventola a raffreddare tranquillamente tutto il sistema.
Nonostante questo, la 360 Slim esagera con le misure precauzionali. Per essere davvero sicuri che il problema del surriscaldamento non si ripresenti mai più la nuova console entra anche in protezione. In caso di ventilazione realmente insufficiente, il sistema forza ora lo spegnimento informando l’utente con un inquietante ma utilissimo messaggio di allerta.
Il nome in codice dell’ambiziosa riprogettazione non è Valhalla, come si pensava in un primo momento, ma Vejle.
Roberto Pulito