San Francisco (USA) – Le memorabilia di stampo nazista sono ancora protagoniste nei tribunali statunitensi a causa di un’annosa querelle che vede implicata Yahoo. U.S. 9th Circuit Court of Appeals , la Corte di Appello di Portland, si è espressa con una revisione sostanziale della sentenza del novembre 2001 che aveva sollevato Yahoo dall’obbligo di sottostare alle richieste di un tribunale parigino sulla pubblicazione di aste online di oggetti nazisti.
La Ligue Contre Le Racisme et L’Antisemitisme ( LICRA ) e l’Union des Etudiants Juifs de France ( UEJF ), due associazioni francesi anti-naziste, nel 2000 avevano denunciato il noto portale perché ospitava sulla sua piattaforma di aste online oggetti del Terzo Reich, con link a pagine Web naziste e a documenti come i famigerati “Protocolli di Sion”. Una violazione per le leggi transalpine, confermata poi dal tribunale di Parigi e sanzionata con un’ammenda – per ogni giorno di permanenza online degli oggetti incriminanti – di 18.500 dollari.
Yahoo, in seguito, si era rivolta ad un tribunale californiano e, a distanza di quasi cinque anni, la U.S. 9th Circuit Court of Appeals ha rimesso in discussione gli assunti della sentenza emessa da Fogel, sottolineando che le Corti federali statunitensi non possono intervenire giuridicamente su un caso riguardante la Legge francese.
Sei giudici, sugli undici della Corte, hanno votato per l’annullamento della precedente sentenza. Tre di questi hanno giustificato la loro presa di posizione dichiarando che il “caso” non riguarderebbe la giurisdizione statunitense. Gli alti tre, invece, hanno confermato che la Corte statunitense non avrebbe giurisdizione sulle due organizzazioni anti-naziste francesi.
Secondo i giudici, inoltre, gli argomenti utilizzati da Yahoo per difendere la sua posizione si sarebbero dimostrati “vaghi”. “Anche se Yahoo ha deciso di bloccare l’accesso alle aste con oggetti nazisti questo non riguarda i suoi riferimenti al Primo Emendamento. Per sua ammissione è stata una scelta autonoma”, ha aggiunto un giudice della Corte. “Al centro della questione non è il Primo Emendamento, ma il fatto che le Corti statunitensi non possono entrare in conflitto con multe o condanne inflitte da Corti straniere”.
La sentenza della U.S. 9th Circuit Court of Appeals, in un certo senso, secondo numerosi specialisti, ridà valore al diritto internazionale applicato al Web. Mary Catherine Worth, dirigente Yahoo, nel 2001 dichiarò, in linea con le indicazioni del giudice Fogel, che “le leggi degli Stati Uniti non ammettono che un altro paese regoli la libertà di impresa di un soggetto americano all’interno dei confini americani”. Pericolo scampato, almeno per ora.
Dario d’Elia