Roma – Telefonate e richieste di incontri avevano iniziato a tempestare tale Cecilia Barnes, cittadina dell’Oregon: l’innesco dell’ondata di contatti era da ravvisarsi in un ventaglio di profili Yahoo. Profili creati da un ex compagno vendicativo, profili in cui erano incastonate fotografie esplicite ed esplicite profferte. La responsabilità di controllare e rimuovere profili fasulli non sembrerebbe ricadere su Yahoo, semplice piattaforma che ospita contenuti postati dagli utenti. A meno che l’intermediario non si mostri disponibile ad occuparsi di dirimere la controversia e non prometta la cancellazione dei contenuti sgraditi.
I profili scabrosi di Barnes erano comparsi online nel 2004: l’ex compagno della donna aveva reinventato l’identità della donna, l’aveva costruita con dei dettagli che lasciavano trapelare la sua intenzione di intrattenersi in relazioni sessuali, l’aveva insaporita con delle foto scattate nell’intimità. L’aveva altresì animata, partecipando a conversazioni a mezzo chat con uomini che si erano lasciati incuriosire dal profilo: aveva rivelato i contatti della donna, invitando i suoi interlocutori a cercarla. Le frotte di sconosciuti che avevano tentato di incontrarla avevano spinto Barnes a indagare, a rintracciare i falsi profili registrati a suo nome.
È così che l’intestataria del falso profilo ha tentato di mettersi in contatto con Yahoo: le condizioni di utilizzo del servizio stabiliscono che gli utenti che siano coinvolti in questo tipo di situazioni possano chiedere la rimozione dei propri dati, a fronte di una copia di un documento di riconoscimento e di un’autocertificazione con cui si sostenga ufficialmente la propria estraneità ai contenuti postati. Così si era mossa Barnes: Yahoo sembrava non aver preso in considerazione il suo caso, nessuna risposta dagli operatori del servizio che avrebbero dovuto valutare la domanda. Solo l’intervento dei media aveva mobilitato l’azienda: Barnes aveva raccontato la propria storia ad una televisione locale, era intervenuto un rappresentante di Yahoo, assicurando che si sarebbe occupato personalmente di fare in modo che la richiesta di Barnes venisse soddisfatta dalla divisione che si occupa della rimozione dei profili. Sarebbe bastato che la donna inoltrasse un fax con la copia dell’email inviata in precedenza ai responsabili di Yahoo. Due mesi erano trascorsi, il profilo continuava ad irretire cittadini della rete.
Barnes aveva allora deciso di battere le vie legali: nel giro di poco, prima che il caso venisse discusso in una corte dell’Oregon, il profilo era scomparso. Yahoo aveva tentato di sedare il contenzioso appellandosi alla sezione 230 del Communications Decency Act , una disposizione che, pur mirata a contenere la disseminazione online di contenuti ritenuti inadatti, individua un appiglio per gli operatori che si limitano ad ospitare del materiale caricato dai cittadini della rete, senza obbligarli ad alcun controllo preventivo che potrebbe comprimere la libertà di espressione dei netizen. Ma Yahoo aveva promesso di agire , e il quadro sembra cambiare.
“Quello che i fornitori di servizi Internet devono capire – ha sottolineato il legale della donna – è che non siamo nel selvaggio West: ci deve essere una logica. Non si deve promettere di fare qualcosa e poi non agire”. Ha concordato con il legale la corte d’appello presso cui è rimbalzato il caso: non si tratta più di tracciare dei confini alla responsabilità di chi si limita ad ospitare contenuti postati dagli utenti, non si tratta più di scongiurare censure alle manifestazioni del pensiero dei netizen. La parola data dal rappresentante della piattaforma potrebbe aver assunto il carattere di una condizione contrattuale : Yahoo, promettendo di intervenire, si sarebbe impegnata a fare eccezione rispetto a quanto disposto nel Communications Decency Act e a garantire la rimozione. L’articolo 230 della legge federale rappresenterebbe infatti un semplice punto di riferimento, al quale i fornitori di servizi online possono decidere di abdicare per offrire diversi regimi di tutela, espressi nelle condizioni d’uso del servizio. Per questo motivo Barnes potrebbe procedere nella causa intentata contro Yahoo.
L’ analisi fornita dalla corte, spiega l’esperto legale Eric Goldman, potrebbe aprire la strada a denunce e a contenziosi basati sulle sole promesse e rassicurazioni espresse nelle condizioni di utilizzo dei servizi. Ma si tratta di un orientamento che potrebbe coinvolgere anche gli ordinari cittadini della rete che assicurino ad esempio la rimozione di post e commenti e che poi divergano rispetto a quanto garantito a colui che ne ha richiesto la rimozione.
Gaia Bottà