La notizia è ormai nota: il tribunale di Roma, accogliendo il ricorso proposto dalla società titolare dei diritti sul film “About Elly”, ha ordinato a Yahoo! di procedere alla disindicizzazione di tutti i siti – diversi da quello ufficiale del film – “riproducenti in tutto o in parte l’opera”.
Secondo il Tribunale, infatti, Yahoo! – al pari di ogni altro motore di ricerca – qualora abbia ricevuto una segnalazione circa il carattere illecito della diffusione di taluni contenuti da parte del titolare dei diritti d’autore non provveda a rendere irraggiungibili tutte le pagine web – ancorché non identificate individualmente – attraverso le quali risulti possibile accedere a detti contenuti, sarebbe responsabile di violazione del diritto d’autore al pari dei gestori dei siti.
Si tratta di una decisione – sebbene cautelare e, dunque, pronunciata sulla base di una cognizione sommaria – destinata ad avere un impatto dirompente sulle dinamiche della circolazione dei contenuti online e, soprattutto, sul ruolo dei motori di ricerca.
Se il principio stabilito nella decisione dovesse diffondersi, infatti, i motori di ricerca si ritroverebbero travolti da richieste di disindicizzazione generiche ed unilaterali da parte di soggetti che assumono violati i loro diritti – non importa se di proprietà intellettuale o di altro genere – e costretti ad assecondare tali richieste a pena, in caso contrario, di correre il rischio di esser ritenuti responsabili di ogni genere di illecito. Si aprirebbero così le porte ad una preoccupante forma di giustizia privata nell’ambito della quale la semplice contestazione unilaterale di un illecito – a prescindere da ogni accertamento giurisdizionale – produrrebbe la conseguenza di consegnare all’oblio ed all’inaccessibilità ogni genere di contenuto pubblicato online.
Impossibile, d’altra parte, sperare o auspicare che il gestore del motore di ricerca, invece di rimuovere dal proprio database qualche centinaio di link tra le centinaia di milioni scandagliati ogni giorno, si faccia carico di gestire la contestazione, di contattare il gestore della pagina indicizzata a lui sconosciuto e di porre quest’ultimo nella condizione di difendere la pubblicazione del contenuto.
La decisione, peraltro, oltre a produrre effetti aberranti non è condivisibile su un piano tecnico giuridico.
Il primo profilo che non convince è la semplicità con la quale il Giudice ha dato per pacifico il carattere illecito di “tutti i siti riproducenti in tutto o in parte l’opera diversi dal sito ufficiale del film”, solo perché la circostanza non sarebbe stata contestata dalle parti coinvolte nel procedimento. Si tratta di un’evidente errore di valutazione.
Innanzitutto non tutti le pagine web le cui URL vengono indicizzate da Yahoo! contenenti le parole individuate nel corso del giudizio (n.d.r. titolo film, download, streaming, torrent ecc.) solo perché diverse dal sito ufficiale del film possono effettivamente considerarsi illecite.
Centinaia e centinaia di pagine contenenti tali espressioni e, dunque, per il motore di ricerca in tutto e per tutto analoghe a quelle dei siti davvero “pirata” non contengono alcun elemento di illiceità ma, magari, si limitano a promuovere il film.
A prescindere da tale aspetto non sembra possibile ritenere pacifico il carattere illecito di un’attività in assenza di ogni prova al riguardo e sulla base della semplice non contestazione da parte di soggetti diversi dal titolare dell’attività medesima e nell’ambito di un procedimento nel quale quest’ultimo non è stato neppure invitato a difendersi.
Per quale ragione e su quali basi Yahoo! avrebbe potuto o dovuto prendere posizione sulla liceità o illiceità di centinaia di pagine web che non conosce e delle quali si limita ad indicizzare le URL?
E se uno dei siti dei quali il ricorrente ha chiesto la disindicizzazione avesse, in passato, ottenuto una licenza per la diffusione del film?
Chi avrebbe potuto farlo presente al giudice?
La scelta del Tribunale di desumere il carattere illecito dell’attività svolta attraverso centinaia di siti internet semplicemente dalla mancata contestazione di parti estranee a tale attività ed in assenza del titolare dell’attività medesima,costituisce, evidentemente, un baco della decisione che ne determina l’illegittimità.
Non si può dire che un’attività sia illecita solo perché lo dichiara un soggetto portatore di un interesse contrapposto a quello del titolare dell’attività e non lo contesta un soggetto pacificamente terzo ed estraneo all’attività in questione come un motore di ricerca nei confronti della diffusione di contenuti protetti da diritto d’autore online.
Tale circostanza è, ad un tempo, alla base di un altro passaggio della decisione difficilmente condivisibile.
Si tratta di quello nel quale il Giudice imputa a Yahoo! la responsabilità per la “violazione dei diritti di sfruttamento economico” sul film “mediante il collegamento a mezzo dell’omonimo motore di ricerca ai siti riproducenti in tutto o in parte l’opera”.
Secondo il Giudice tale responsabilità deriverebbe dalla “mancata attivazione del gestore del motore di ricerca” avendo quest’ultimo agito “nella consapevolezza dell’illecito”. Consapevolezza che gli sarebbe derivata dalla segnalazione – peraltro generica e non contenente alcun riferimento alle singole URL oggetto di contestazione – del titolare dei diritti.
Nella sostanza il Giudice ritiene, evidentemente, che Yahoo! – al pari di ogni altro motore di ricerca – sia tenuto a dar corso alla disindicizzazone di una risorsa sul web dietro semplice segnalazione di ogni soggetto che assume essere titolare di un diritto da terzi violato attraverso, appunto, tale risorsa.
Se ciò fosse vero, saremmo alla vigilia della fine del web che conosciamo e, soprattutto, dello Stato di diritto, perché avremmo spalancato le porte ad una forma di esercizio arbitrario ed unilaterale delle proprie ragioni: chiunque assumesse di aver subito un torto attraverso un sito potrebbe agevolmente condannarne il contenuto all’oblio, semplicemente inviando una mail ai principali motori di ricerca e senza preoccuparsi di disturbare un giudice.
In nome di pochi presunti titolari dei diritti d’autore si sarebbe legittimato il travolgimento del diritto di fare impresa e di libera manifestazione del pensiero di centinaia di milioni di cittadini in tutto il mondo.
Dinanzi all’accertamento giurisdizionale anche sommario – in contraddittorio tra tutte le parti interessate – del carattere illecito dell’attività svolta attraverso un sito si può ragionare della legittimità di un ordine di disindicizzazione puntuale – ovvero relativo solo a URL individualmente specificate – indirizzato al motore di ricerca. Non è però possibile configurare, anteriormente a tale ordine ed accertamento giurisdizionale (o eventualmente amministrativo), una responsabilità giuridica del motore di ricerca per aver indicizzato qualche centinaia di pagine tra le quali qualcuno gli ha comunicato essercene di utilizzate per finalità illecite.
Un ultimo profilo di dubbia legittimità della decisione sta nel suo oggetto.
Il Giudice, infatti, ha inibito a Yahoo! “la prosecuzione e la ripetizione della violazione dei diritti di sfruttamento economico” della ricorrente “sul film About Elly mediante il collegamento a mezzo dell’omonimo motore di ricerca ai siti riproducenti in tutto o in parte l’opera diversi dal sito ufficiale del film”. Tecnicamente cosa dovrebbe fare Yahoo!? Eliminare dai propri risultati della ricerca i link a tutti i siti contenenti le parole ” about+Elly “, lasciando raggiungibile solo quello “ufficiale”? Si tratterebbe di centinaia di migliaia di pagine create e gestite da milioni di utenti in tutto il mondo ed utilizzate per la diffusione di contenuti perfettamente leciti e, magari, persino promozionali rispetto al film. A chi tocca preoccuparsi della libertà di impresa e di parola di tali soggetti?
Sembra difficile, d’altra parte, ipotizzare che per effetto dell’ordine del giudice Yahoo! debba verificare manualmente uno ad uno tutti i link restituiti tra i risultati della ricerca e disindicizzare solo quelli utilizzati per attività di carattere illecito.
Ci vorrebbero mesi e mesi di lavoro e, soprattutto, non tocca al gestore di un motore di ricerca distinguere le attività lecite da quelle illecite.
C’è naturalmente ancora tempo per sperare che la decisione venga rivista e corretta e l’auspicio, naturalmente, è che in quell’occasione si rifugga dalla tentazione di ritenere illecito tutto ciò che viene semplicemente indicato come tale e, soprattutto, di trasformare il gestore di un motore di ricerca in un arbitro – necessariamente poco imparziale – dell’accessibilità dei contenuti e delle informazioni online.
Tocca solo al Giudice, in uno Stato di diritto, stabilire se un’attività e lecita o illecita e non c’è nessuna buona ragione per derogare a tale principio in nome del diritto d’autore e nel contesto telematico.
Guido Scorza
Presidente Istituto per le politiche dell’innovazione
www.guidoscorza.it