Come contrastare un fenomeno così pervasivo e dilagante come la pubblicazione (e la fruizione) online di video con contenuti protetti da diritto d’autore ? Google ha provato a rispondere alle preoccupazioni dell’industria con una sfida: non lo fate .
Cinque anni fa l’azienda di Mountain View ha iniziato lo sviluppo di Content ID , che permette l’identificazione dei video caricati su YouTube in violazione del diritto d’autore . Una volta individuati, i detentori dei diritti possono avvalersi di tre opzioni: un semplice monitoraggio dell’utilizzo dei propri contenuti da parte degli utenti di YouTube; la possibilità di ottenere dei ricavi attraverso la pubblicità sia sui propri contenuti ufficiali sia su quelli caricati dagli utenti; la rimozione del video .
In questi cinque anni – di cui si celebra oggi la ricorrenza – Google ha perfezionato il meccanismo rendendo, tra l’altro, possibili delle azioni aggiuntive, come ad esempio la georestrizione , ovvero la limitazione di un’azione a una determinata area geografica : in questo modo, ad esempio, per un film già nelle sale statunitensi ma non in quelle europee sarà possibile scegliere di monetizzare i video relativi al film visualizzati negli States, bloccandoli invece nel Vecchio Continente.
Il sistema funziona attraverso l’individuazione di corrispondenze tra i video presenti sul sito e un database di materiali di riferimento che il partner proprietario dei diritti d’autore deve fornire a Google nel momento in cui decide di usufruire del servizio.
Versione riveduta e tecnologicamente aggiornata del “se non puoi combatterli unisciti a loro”, questo sistema nasce dalla consapevolezza del potenziale di ricavi che si possono ottenere con le modalità di circolazione dei contenuti offerti dalla Rete. Secondo una ricerca commissionata dalla stessa Google a Boston Consulting Group, in Italia il settore di quella che viene definita “Internet Economy” equivale oggi al 2 per cento del PIL nazionale (corrispondente a 31,6 milioni di euro) e ci si attende possa registrare una crescita tra il 13 per cento e il 18 per cento nel 2015, quando l’economia della Rete dovrebbe arrivare a rappresentare tra il 3,3 per cento e il 4,3 per cento del PIL .
I possibili utilizzi di Content ID da parte dei partner di YouTube – che, fa sapere Google, sono oggi più di 2.000 in tutto il mondo e che in Italia hanno recentemente ingrossato le proprie fila ad esempio con l’adesione di Sugar – non si esauriscono nel guadagno “diretto” attraverso la pubblicità ma comprendono anche il possibile reindirizzamento su siti dove è possibile acquistare il contenuto visualizzato, come iTunes o Amazon. Senza contare l’aumento del traffico verso contenuti ufficiali pubblicati dai proprietari dei diritti.
La visione di un web gratuito che svuota le casse dell’industria culturale sta, dunque, cedendo il passo a una nuova prospettiva dove non solo la convivenza ma addirittura il vicendevole sostegno da parte dei due mondi sembra realistico, come spiegano le parole di Marco Ghigliani, direttore generale di Telecom Italia Media a proposito dell’accordo stipulato tra La7 e YouTube lo scorso anno. “La fruizione dei contenuti sul web è assolutamente complementare rispetto a quella della televisione tradizionale – osserva Ghigliani – E questo vale anche per YouTube. L’offerta tramite i nostri siti istituzionali non è cannibalizzata dal videoportale di Google: sono pubblici diversi quelli che accedono alle diverse offerte”.
Elsa Pili