L’ accordo YouTube-SIAE resta confidenziale sia nelle cifre in ballo che nei dettagli: è stato tuttavia possibile chiarire alcuni punti insieme a Maria Ferreras , responsabile partnership di YouTube.
Tramite l’accordo la piattaforma intende allargare la propria offerta: nel caso specifico i contenuti che remunereranno gli iscritti SIAE saranno inseriti presumibilmente sia nei canali ufficiali degli autori, sia tramite caricamenti validati. Al Tubo viene così riconosciuto un ruolo importante nella distribuzione dei contenuti, che può diventare addirittura fondamentale nel caso dei nuovi autori o degli artisti emergenti.
Ferreras ha chiarito a Punto Informatico che l’accordo riguarderà tutti i video caricati : il sistema Content ID dovrebbe permettere di identificare e seguire i contenuti protetti, per cui saranno sempre i detentori dei diritti a deciderne la sorte.
L’accordo, infatti, non dovrebbe significare che l’utente può caricare materiale protetto senza che il detentore dei diritti ne possa chiedere la rimozione. Al contrario, gli autori o i titolari dei diritti connessi potranno scegliere se lasciarlo sul Tubo, incentivati però dalla possibilità di monetizzare le opere in questo modo divulgate .
Tutte le altre fattispecie (a chi spetta chiederne eventualmente la rimozione, quali contenuti costituiscono una violazione del copyright o semplicemente un ri-uso legittimo ecc.) non dovrebbero riguardare il nuovo accordo. Esso rappresenta – sottolinea Ferreras – un “modello di business per monetizzare i contenuti”. Autori, compositori ed editori musicali rappresentati da SIAE “in partnership con noi possono – spiega – promuoverli ulteriormente e monetizzarli”, una sorta di incentivo ad alimentare questo business .
Come questo avvenga, nel dettaglio, fa parte degli aspetti dell’accordo tenuti confidenziali, tuttavia Ferreras accenna a Punto Informatico che si basa sulla pubblicità e non è calcolato (come era stato in un primo momento ipotizzato dagli osservatori) sul numero di clic attirati da un contenuto.
Anche SIAE, in pratica, sembra essersi accorta dell’esistenza dello streaming come business . Secondo fonti della Federazione dell’Industria Musicale Italiana (FIMI) il fatturato delle case discografiche derivante da questa possibilità di distribuzione su YouTube già nel 2007 era di 918mila euro , nel 2008 registrava un aumento del 65 per cento (arrivando a 1,5 milioni di euro) e nel 2009 cresceva ancora del 27 per cento. Il primo semestre 2010, ultimi dati disponibili, ha confermato il trend del settore con un più 38 per cento rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, per un parziale di 837mila euro.
Il video sharing musicale, d’altronde, è, soprattutto in Italia, un’attività molto diffusa: sempre secondo i dati raccolti da FIMI, il 34 per cento degli italiani guarda video musicali su YouTube contro il 29 per cento della media UE e il 17 per cento degli USA. Supera, in pratica, anche l’utilizzo del P2P che nel Belpaese si ferma al 28 per cento.
Claudio Tamburrino