Si torna a parlare della riforma europea del copyright e questa volta l’assist è offerto da Susan Wojcicki, numero uno di YouTube, che con un post condiviso sul blog dedicato ai creatori di contenuti spiega perché le nuove norme in fase di dibattito e approvazione nel vecchio continente non risultano compatibili con un modello di business sostenibile per la piattaforma. Il riferimento, messo in evidenza già dal titolo dell’intervento, è in particolare all’articolo 13.
Per certi versi il post è un assist per la soddisfazione di quanti, in modo neppur troppo velato, avevano costruito le proprie argomentazioni pro-riforma con un approccio anti-YouTube: l’intervento di Susan Wojcicki sembra consolidare l’ipotesi per cui, al mutare delle condizioni legali, il modello YouTube rischia di collassare.
Copyright: YouTube e l’articolo 13
L’articolo 13 rappresenta uno dei punti più discussi della normativa, che prevede siano le piattaforme a dover esercitare in forma attiva il controllo sulla natura dei contenuti caricati. In caso di violazioni, la responsabilità ricadrebbe sui servizi e non sugli utenti. Considerando che sui server di YouTube vengono condivise circa 400 ore di filmati ogni 60 secondi, risulta pressoché impossibile garantire a priori la piena conformità a quanto previsto, anche impiegando tecnologie come Content ID.
Per la prima volta Wojcicki mette nero su bianco che non è nelle possibilità del gruppo di Mountain View attuare nella pratica quanto previsto dal Parlamento Europeo. Al fine di spiegare la propria posizione ricorre a un esempio citando il video che fino ad oggi ha ottenuto più visualizzazioni in assoluto, il tormentone Despacito.
Prendete la hit musicale mondiale Despacito. Contiene più copyright, dai suoni utilizzati per la registrazione ai diritti di pubblicazione. Sebbene YouTube abbia accordi con più realtà al fine di licenziare e pagare quanto dovuto per il video, alcuni di coloro che detengono i diritti rimangono sconosciuti. Ciò significa che dovremmo bloccare filmati come questo per evitare le responsabilità previste dall’articolo 13.
Non c’è solo una questione di responsabilità, quindi, ma anche una di complessità: di fronte ad un quadro chiaro si può reagire, ma di fronte al rischio dovuto alla complessità si rischia di mandare in fumo grandi opportunità che vanno anche ben oltre la sola piattaforma.
Responsabilità e rischio finanziario
Ovviamente lo stesso problema può celarsi dietro a ogni video caricato dalla community, esponendo così il gruppo a un rischio finanziario definito da Wojcicki non sostenibile, né per YouTube né per qualsiasi altra società.
Moltiplicate questo rischio per la grandezza di YouTube, dove oltre 400 ore di video vengono caricate ogni minuto e le potenziali sanzioni sono tanto elevate che nessuna azienda potrebbe mai assumersi un tale rischio finanziario.
Non è la prima volta che la piattaforma di streaming esplicita la propria visione nei confronti della riforma. Lo ha fatto di recente chiamando all’appello alcuni celebri youtuber e lanciando una campagna al grido #saveyourinternet accompagnata da un sito ufficiale in cui vengono spiegate le ragioni dell’iniziativa. Dalle sue pagine emerge che la posizione della piattaforma non è quella di totale opposizione o chiusura, ma punta verso una collaborazione con l’Europa per rivedere la norma prima che il testo definitivo sia votato in aula nel gennaio del prossimo anno.
Il testo dell’articolo 13 è ancora in fase di definizione ed è fondamentale che sia redatto in maniera corretta. D’ora in poi vogliamo instaurare una migliore collaborazione con i legislatori. Bisogna farsi sentire ora, perché la decisione potrebbe essere finalizzata entro la fine dell’anno.
Per Wojcicki le potenziali ripercussioni dell’articolo 13 vanno oltre i rischi finanziari per YouTube e per gli altri servizi online, arrivando a interessare la libertà d’informazione e di espressione.
I residenti europei corrono il rischio di rimanere esclusi dalla fruizione di video che, solo nell’ultimo mese, sono stati riprodotti oltre 90 miliardi di volte. Questi filmati provengono da tutto il mondo, non solo dai 35 milioni di canali del continente, includendo corsi per imparare le lingue e tutorial sulla scienza insieme ai video musicali.
La riforma europea del Copyright torna dunque in primo piano, con la palla rigettata nella mischia dalla parte uscita “sconfitta” dal volo del Parlamento Europeo.