Sono amare le riflessioni del team YouTube sulla disinformazione. Nessuno come YouTube, del resto, ne è stato strumento, spettatore, vittima e protagonista al tempo stesso:
La disinformazione si è spostata dal marginale al mainstream. Non importa se si tratti di Olocausto o 9 settembre, ora si estende in ogni aspetto della società, a volte colpendo le comunità con incredibile velocità. Nessun argomento ne è immune.
YouTube vs disinformazione
Una fotografia disincantata, insomma, di fronte ad un problema contro cui lo stesso YouTube ha lottato da tempo, pur se raramente con vera efficacia. Il gruppo non se ne è però lavato le mani: oggi vengono rimossi circa 10 milioni di video ogni trimestre, la maggior parte dei quali non arriva neppure a 10 visualizzazioni. Ciò testimonia l’efficacia con cui il servizio è in grado di identificare e “soffocare” un certo tipo di fenomeno, limitando l’impatto che la disinformazione può avere sugli utenti (nonché le sue capacità di monetizzazione). In tema Covid, in particolare, sono già stati rimossi 1 milione di video da febbraio 2020 ad oggi (false cure, strambi teoremi, congetture deleterie): l’immediatezza dell’azione ha probabilmente calmierato una pericolosa ricaduta sulla percezione generale del problema pandemico.
“La cosa più importante da fare è aumentare il buono e ridurre il cattivo”: la disinformazione deve essere diluita in una repository di contenuti di valore, insomma, affinché vengano meno le sue capacità corrosive. Secondo quanto calcolato da YouTube, i video in qualche modo nocivi rappresentano oggi un quantitativo tra 0.16 e 0.18% del totale, misura con cui il gruppo sembra voler testimoniare la bontà del lavoro compiuto. Ma non può bastare. Sebbene questa quantità sia minoritaria, è pur sempre utile per la condivisione su altri social e rappresenta la materia con cui talune bolle si nutrono nell’ossessiva condivisione quotidiana.
YouTube, tuttavia, sottolinea nella propria disamina anche un aspetto ulteriore: stringere ulteriormente le maglie attorno alla disinformazione rischia di intaccare la libertà di espressione: il mondo è sicuro di voler lasciare alle “Big Tech” questa responsabilità? Il gruppo chiede quindi collaborazione e dialogo, unici canali sui quali si possa sviluppare una vera azione coordinata che salvaguardi sia l’utenza (e la società civile), sia il gruppo (ed il mercato dell’advertising). Attorno alla disinformazione può esserci una collaborazione win-win, l’importante è capire che si è tutti sullo stesso fronte.