Video Fingerprinting , YouTube Video Identification , non sono che due dei nomi con cui è stato battezzato l’ultimo sforzo di Google: proteggere i contenuti multimediali coperti da diritto d’autore .
Google, che lo scorso anno ha acquisito YouTube per 1,65 miliardi di dollari, aveva già annunciato qualche tempo fa l’adozione di un sistema di protezione, a seguito del gran battage mediatico dei mesi precedenti. Basti ricordare che l’agenzia Reuters evidenziò la notizia in relazione alle pressioni di Time Warner e Disney, mentre il Wall Street Journal aggiunse , oltre ad essi, anche la querelle da 1 miliardo di dollari per violazione del copyright presentata da Viacom , protocollata a Marzo e notificata al patron delle ricerche.
Forte di tutto ciò , BigG ha pensato di avviare il programma senza ulteriori indugi, sia pure in Beta . Con queste premesse è iniziato dunque il tam-tam in rete che si sviluppa, neanche a dirlo, sia sul profilo ufficiale che underground . Con pulizia e toni essenziali, sul blog non ufficiale GoogleSystem cominciano ad apparire le prime illustrazioni del funzionamento , osservando le quali già si intuisce a quali cambiamenti va incontro il sistema: This video is no longer available (questo video non è più disponibile), This video has been removed at the request of copyright owner Proactive MTV because its content was used without permission (questo video è stato rimosso su richiesta del titolare del copyright, Proactive MTV, in quanto utilizzato senza autorizzazioni).
In altre parole, si sta servendo in tavola una squisita ricetta in salsa DRM , con presupposti tecnologici e architettura diversi ma con finalità del tutto simili ad eccezione di certe dinamiche . Infatti, spiega TechCrunch , i detentori del copyright come Time Warner, Disney o CBS (che ha collaborato con Google nella sperimentazione del sistema) caricano integralmente i loro contenuti digitali su YouTube. Questi contenuti non vengono affatto distribuiti da YouTube come gli altri, bensì vengono registrati in un’area privata , dedicata alla specifica trattazione. Il titolare dei contenuti indicherà poi se desidera che YouTube rimuova automaticamente (vedi le frasi in inglese del paragrafo precedente) le copie dello stesso oggetto oppure se debba inserire, con obbligo di visione , della pubblicità in testa alle copie circolanti di quel contenuto. I proventi di tale pubblicità andranno versati al titolare del copyright .
Questo meccanismo, spiega ancora TechCrunch , non può certo considerarsi perfetto in quanto basato su algoritmi alquanto complessi che dovranno passare al setaccio un numero sterminato di file; è quindi fisiologico che copie artatamente alterate, convertite in altri formati o comunque manomesse possano sfuggire alle maglie dei controlli e, come dice l’autore dell’articolo, slip underneath the radar (scivolare sotto al radar senza essere visto).
Nell’annuncio di queste ore Google ha delineato alcune altre accortezze mirate a limitare le infrazioni, quali il ban di utenti che ripetutamente infrangano le regole, l’adozione di un hash che impedisca di ricaricare lo stesso contenuto più volte, il limite tassativo di 10 minuti sulla durata, un sistema interattivo di gestione dei diritti per i detentori di copyright e una serie di avvisi e suggerimenti per gli utenti presentato in fase di upload . Tutto ciò, secondo molte fonti, difficilmente convincerà Viacom a desistere dalla posizione d’attacco assunta: esprimono dubbi a questo riguardo sia TechCrunch che il New York Times , nel cui articolo si legge: “Siamo contenti che Google si stia prendendo le proprie responsabilità e smetta di lucrare sulle infrazioni (al copyright, ndr)”, ha detto Michael Fricklas, consigliere generale di Viacom. ” Verificheremo che il sistema sia ragionevolmente efficace e sufficientemente robusto per gestire la problematica”.
Anche Louis Solomon, un avvocato che ha rappresentato la English Soccer League e l’editore musicale Bourne Co. in altre controversie contro YouTube, è stato interpellato dal New York Times nello stesso articolo ma, intervistato anche dal quotidiano The Anniston Star , ha usato parole ancora più dure : “Totalmente indadeguato”, ha detto. “Non fa nulla per il passato e non può far molto per proteggere il futuro”.
Molto più mitigata la posizione di Electronic Frontier Foundation che, con riferimento ad altri episodi di cui si è occupata, suggerisce due metodi da aggiungersi a quelli già prospettati per un migliore raggiungimento dell’obbiettivo: inserire l’identificazione della traccia audio e verificare che collimi in coppia con quella video prima di procedere a blocchi e rimozioni , nonché aggiungere un test per determinare la percentuale di video caricato individuata come coperta da copyright .
Funzionerà? Ci vorrà tempo per saperlo, almeno quello necessario perché si diffondano metodi e strategie per bypassare i “lucchetti”.
Marco Valerio Principato