Pete Waterman, uno dei co-autori del famoso brano “Never Gonna Give You Up”, ha dichiarato di essere stato sfruttato “come un lavoratore straniero a Dubai” da YouTube, e quindi dal suo proprietario Google.
Il portalone video avrebbe infatti corrisposto al compositore britannico un totale di undici sterline per le royalty della hit di Rick Astley che contribuì a realizzare nel 1987. Grazie alla moda, tutta anglosassone, del rickrolling è stata ascoltata più 150 milioni di volte, riscuotendo un notevole successo tanto da regalare ad Astley un come back in grande stile in occasione dell’edizione 2008 del Macy’s Thanksgiving Day Parade.
La crescita di questo tormentone non è certo passata inosservata e Waterman si è sentito in diritto di reclamare qualcosa di più rispetto a quanto ricevuto. Ha esternato il proprio disappunto nel corso di una conferenza stampa: “Ricevo più soldi dalle piccole radio locali che trasmettono il mio pezzo piuttosto che da YouTube”.
Dai piani alti dell’azienda di Mountain View fanno sapere di essere assolutamente convinti del fatto che cantanti e autori debbano ricevere dei proventi adeguati dall’utilizzo del loro materiale, che per Google costituisce una fonte di ricchezza. L’aumento dei video musicali su YouTube – fa sapere BigG – è direttamente proporzionale alla crescita di introiti da spartire con gli artisti.
Proprio la gestione dei diritti è uno dei nodi da sciogliere : le trattative per il rinnovo dell’accordo con la Performing Right Society, la società di royalty collection per il Regno Unito, sono ancora in alto mare e, per ora, molto lontane dal concludersi a causa, secondo Google, delle eccessive richieste
economiche avanzate da PRS.
Tuttavia le motivazioni addotte dai dirigenti di Google sul mancato rinnovo del contratto, non solo in Gran Bretagna ma anche in Germania (in questo caso con la GEMA, equivalente tedesco di PRS e SIAE), non hanno affatto convinto gli addetti ai lavori che hanno più volte accusato Google di non ricompensare adeguatamente gli artisti, bollando YouTube come una fabbrica in stile seconda rivoluzione industriale il cui padrone specula sulle condizioni dei lavoratori e pensa solo al profitto. Tutto vero? Non proprio. Secondo una analisi di Credit
Suisse il bilancio 2009 con ogni probabilità segnerà un rosso profondo : 470 milioni di dollari.
Nonostante ciò YouTube si conferma sempre più un palcoscenico di prim’ordine per la stragrande maggioranza degli artisti, riuniti nella Featured Artists Coalition, che non intendono mollare la presa e anzi pretendono che YouTube paghi quanto richiesto e, sopratutto, mantenga i lavori online, e i portafogli pieni.
Giorgio Pontico