Il successo riscosso da BitCoin in questi ultimi anni ha fatto crescere il numero di criptomonete digitali in circolazione nella rete delle reti. L’ultima arrivata si chiama si chiama ZCash e – oltre ad essere indipendente da governi nazionali – garantisce anonimato completo ai suoi utilizzatori.
Il lancio ufficiale è avvenuto il 28 ottobre, a Denver (Colorado), alla presenza di alcuni giornalisti/testimoni e dei fondatori dell’azienda, tra cui l’esperto di sicurezza informatica Zooko Wilcox. L’azienda, il network e il protocollo portano lo stesso nome ZCash – dove la “Z” sta per “zero”. Il funzionamento di questa nuova moneta digitale è in gran parte simile a quello di BitCoin, ossia c’è una blockchain che tiene traccia delle transazioni che avvengono in questa valuta ma si differenzia per il fatto che è praticamente impossibile per utenti terzi sapere chi ha effettuato la singola operazione e verso quale portafoglio di arrivo. Sconosciuti sono quindi sia l’ordinante che il beneficiario: di tutta l’operazione si sa solo che è accaduta. Una differenza sostanziale che dà a ZCash una marcia in più – almeno sulla carta. L’anonimato è garantito da un nuovo sistema di crittazione delle transazioni .
Per arrivare a mettere a punto questo sistema ad alto livello di privacy, nonostante la blockchain pubblica, sono stati necessari diversi anni di lavoro, o meglio, migliaia di ore di ricerca in campo matematico. Il lavoro partì nel 2003 nel laboratorio di crittografia applicata della Johns Hopkins University, guidato da Matthew Green. Alle ricerche di questo team sono poi unite le forze di Eli Ben-Sasson, un esperto di informatica dell’Israel Institute of Technology e un gruppo di ricercatori dell’MIT di Boston e dell’università di Tel Aviv. Queste persone, che ora lavorano tutte per la Zcash di Zooko Wilcox (un ex dipendente di David Chaum alla ormai defunta DigiCash), hanno sviluppato lo zk-SNARK, ossia una nuova tecnologia di tipo “zero-knowledge proof” che richiede meno potenza computazionale di altre soluzioni simili.
In informatica applicata per “zero-knowledge proof” (o “Dimostrazione a conoscenza zero”) si intende un sistema per cui un computer effettua una verifica su un’affermazione senza sapere altro che la dichiarazione di veridicità che gli viene trasmessa. È un concetto un po’ complesso – a livello teorico – ma più semplice se lo applica. Un sistema del genere viene usato in diversi casi su Internet, ad esempio lo si può utilizzare per farsi autorizzare all’accesso in un sistema, inserendo una password ma senza dover necessariamente trasmetterla. Il protocollo ideato dai ricercatori di ZCash, nello specifico, permette agli utenti di provare che possiedono le monete che vogliono spendere senza rivelare però altre informazioni riguardo la provenienza o la destinazione, cioè senza indicare da quale portafoglio sono arrivate né in quale finiranno.
La presentazione ufficiale dello Zcash a Denver , di fronte a dei testimoni oculari, è servita come dimostrazione pubblica del fatto che i frammenti crittografici di moneta sono creati e messi a disposizione nel network in un modo tale per cui è del tutto impossibile risalire alla chiave crittografica completa o – meglio ancora – in un modo del tutto nuovo e al limite dell’assurdo per cui quella chiave completa in realtà non venga mai ad esistere. Per capire il passo avanti che ZCash fa rispetto a BitCoin, basti sapere che entrambi possiedono un Blockchain – cioè una specie di registro pubblico in cui sono annotate tutte le operazioni effettuate – solo che per il sistema di ZCash di ogni operazione non è possibile conoscere l’esecutore e il beneficiario. A meno che l’esecutore stesso non decida di svelare parte dell’informazione (con altri utenti di sua scelta). E questo è un altro dettaglio non da poco, cioè essere titolari della possibilità di svelare o meno l’informazione dà grande potere a chi effettua l’operazione.
Un altro interessante vantaggio di ZCash su BitCoin è la fungibilità della moneta – inteso come singolo elemento della valuta; in altre parole ciascuna moneta che circola nel sistema messo a punto da Wilcox e i suoi è del tutto indistinguibile dalle altre monete che circolano nello stesso sistema. Questo perché nella sua Blockchain non sono riportate l’origine e la destinazione delle transazioni, la storia di ogni moneta è quindi del tutto assente. Cosa che non succede invece alle monete del network BitCoin.
Se dunque BitCoin era una criptomoneta pseudo-anonima, ZCash può essere definita una criptomoneta del tutto anonima o perfettamente anonima, il che fa nascere dei nuovi problemi sia sul piano pratico che su quello etico. Da strumento di pagamento digitale underground BitCoin si trasformò in un successo internazionale – cioè vide il suo boom – quando iniziò ad essere usata nel cosiddetto deepweb, ossia nei circuiti di compravendita di materiale o informazioni illegali. Alla moneta ZCash potrebbe accadere la stessa cosa. Non sappiamo quando ma potrebbe accadere. Anzi con ZCash si corre il rischio reale di dare in mano a tutte le mafie del mondo – alla malavita di qualsiasi forma o paese – uno strumento potenzialmente perfetto per il riciclaggio di denaro sporco. Non è una questione da prendere sottogamba. L’anonimità, che è pure un rischio da sempre connaturato per il denaro contante, ora si presenta anche per le monete digitali, con il vantaggio che queste ultime sono incredibilmente più facili da gestire, spostare, far apparire e sparire a piacimento, essendo appunto virtuali: una semplice scrittura contabile su di un conto fatto di bit. Per capire l’enormità del rischio, basti pensare al fatto che un’operazione ZCash non è altro che un inviolabile e anonimo trasferimento di informazione da un computer all’altro.
Ma non sarebbe corretto sottolineare solo gli utilizzi deviati della tecnologia. Per soluzioni come ZCash sono prevedibili anche usi legittimi: i cittadini di un regime totalitario sottoposti a un rigido controllo da parte delle autorità potrebbero usare questa moneta per effettuare acquisti di beni o servizi del tutto leciti ma proibiti dal proprio stato, senza correre il rischio di essere tracciati (e quindi perseguiti) per il proprio comportamento. Altro utilizzo interessante è quello di un’azienda che vuole fare compere senza permettere che i suoi competitor intuiscano le sue mosse osservando la traccia lasciata dal denaro, cioè dalle operazioni finanziarie.
Alcuni investitori sul progetto ZCash hanno già versato 1 milione di dollari nelle casse dell’azienda. Il cosiddetto “mining”, cioè la creazione vera e propria di monete, è partito venerdì scorso dopo la presentazione. Il valore della valuta non è fisso ma ovviamente variabile, in base alle richieste di mercato: i “miners”, cioè chi grazie al suo hardware riesce a coniare monete di ZCash, potranno tenere per se l’80 per cento del valore generato, mentre il restante 20 andrà ai fondatori della società ZCash. Questo accadrà comunque solo nei primi 4 anni del progetto. A partire cioè dalla fine del 2020 il 100 per cento del valore delle monete create rimarrà nelle mani dei miner. Si stima che nelle prime battute 50 nuove monete – denominate ZEC – saranno create ogni 10 minuti; ogni quattro anni questo valore si dimezzerà, cioè nel 2020 ci vorranno 20 minuti per creare 50 monete. Le stime parlano di circa 20 milioni di ZEC creati entro il 2032.
Tutto oro quello che luccica? Non proprio. Anche ZCash ha le sue zone d’ombra. Un problema non trascurabile è la solita fallacia umana (praticamente ineliminabile): se un utente non distrugge i frammenti di chiave usati per la crittografia qualcuno può entrarne in possesso e dunque risalire alle informazioni relative alle sue transazioni. Inoltre questo nuovo sistema di crittografia denominato zk-SNARK è nuovissimo, quasi ancora sperimentale: se da una parte è vero che è stato sottoposto a società esterne per la sua validazione tecnica, per il momento pochissimi matematici si sono applicati nel capire in dettaglio come funziona. Come dire che in futuro potrebbero anche essere scoperte dei bug non ancora noti. E se a quel punto il sistema fosse molto diffuso sarebbero guai seri per l’economia dei ZEC. Senza dubbio decine di hacker in tutto il mondo sono già al lavoro per trovare una o più falle nel sistema ZCash da cui penetrare e rubare quanto più denaro possibile.
Nicola Bruno