Aggiorniamo oggi l’elenco delle realtà che hanno scelto di mettere al bando Zoom con quella che ormai sembra quasi essere diventata una rubrica quotidiana: questa volta tocca a Singapore. La città-stato ha imposto ai propri insegnanti di non far più affidamento sulla soluzione per le lezioni online. Il motivo è ancora una volta da ricercare nelle tante pecche emerse di recente per quanto riguarda privacy e sicurezza.
Singapore: no a Zoom per la scuola a distanza
Si allunga dunque ulteriormente la lista che già comprende SpaceX, gli istituti di New York, il governo di Taiwan, Google e il Senato USA. A Singapore la stampa fa riferimento a incidenti che hanno visto improvvisamente comparire immagini oscene sugli schermi degli studenti e soggetti fare irruzione durante una lezione di geografia lasciando commenti non appropriati visualizzati poi da giovani alunne. Colpa del fenomeno Zoombombing che la società sta cercando di arginare in ogni modo possibile. Riportiamo di seguito in forma tradotta le parole del ministro locale Aaron Loh.
Si tratta di incidenti molto seri. Stiamo al momento indagando le violazioni e presenteremo un report alla polizia se necessario. Come misura precauzionale i nostri insegnanti interromperanno l’impiego di Zoom, almeno finché questi problemi di sicurezza non saranno stati risolti.
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Tra i punti deboli del servizio fin qui emersi anche il mancato utilizzo di una vera crittografia end-to-end al contrario di quanto pubblicizzato sulle pagine del sito ufficiale. Il team di sviluppo è al lavoro per porre rimedio a una situazione che rischia altrimenti di veder compromessa la forte crescita della user base registrata il mese scorso in seguito ai lockdown per il coronavirus e alla corsa allo smart working: a tale scopo è stato annunciato un Feature Freeze di 90 giorni in cui ogni risorsa sarà destinata alla correzione di bug e vulnerabilità, posticipando il lancio di nuove caratteristiche.