Nelle scorse settimane Zoom ha annunciato uno stop di 90 giorni al rilascio di nuove funzionalità con l’obiettivo di concentrarsi sulla risoluzione dei problemi fin qui emersi sul fronte della sicurezza e su quello della privacy. La software house farà un’eccezione nella giornata del 18 aprile quando introdurrà un’opzione a pagamento per consentire di scegliere in quali aree geografiche far transitare le proprie comunicazioni.
Zoom: stop al routing verso data center cinesi
La novità è stata messa a punto in seguito al report pubblicato a inizio aprile dal Citizen Lab della University of Toronto secondo cui le chiavi crittografiche impiegate per alcuni meeting sono generate da server localizzati in Cina anche se nessuno dei partecipanti alle riunioni risiede nel paese asiatico. Gli utenti potranno selezionare o deselezionare i data center posizionati nei confini territoriali di Australia, Canada, Cina, Europa, India, Giappone, Hong Kong, America Latina e Stati Uniti. L’unico limite riguarda l’impossibilità di escludere dall’elenco l’infrastruttura a sé più vicina.
[gallery_embed id=130222]
Chi utilizza Zoom in modo gratuito per le sessioni quotidiane di smart working o per le comunicazioni personali non potrà accedere alla feature, ma l’azienda assicura che in ogni caso il traffico non sarà più indirizzato verso i server cinesi. Come spiegato dal CEO Eric Yuan, questo è avvenuto poiché per far fronte alla improvvisa e forte crescita della domanda da parte dell’utenza, la società ha ampliato in tutta fretta la portata dei propri sistemi, in alcuni casi senza adeguatamente considerarne le conseguenze.
Per capire l’entità dell’incremento è sufficiente pensare che in pochi mesi, dal dicembre 2019 al marzo 2020, il volume degli account attivi su base quotidiana è passato da 10 milioni di unità a oltre 200 milioni, complice anche una corsa repentina all’adozione di soluzioni per lo smart working da parte di chi si trova bloccato a casa.